Antonio Fornaciari
Divisione di Paleopatologia
Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina
Università degli Studi di Pisa
(da Archeologia Postmedievale 4: 211-218, 2000)

1.  Premessa
Il giorno 7 Aprile 2000 ha avuto luogo l’esplorazione del sepolcro di  Federico II da Montefeltro, del figlio Guidobaldo, della nuora Elisabetta Gonzaga e del figlio Federico nella chiesa di S. Bernardino presso Urbino. L’occasione di poter visionare i resti mortali dei Duchi di Montefeltro si inserisce in un ampio progetto di studio, coordinato dalla Divisione di Paleopatologia del Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina dell’Università di Pisa, che ha per oggetto l’analisi antropologica e paleopatologica dei corpi dei duchi  Da Montefeltro e dei duchi Della Rovere.1

2. Il sito
La chiesa di S. Bernardino e l’attiguo convento francescano sorgono sul colle di S. Donato a Sud della città. Sul colle è ancora esistente la chiesetta eponima di S. Donato, sconsacrata, attestata con il titolo di Pieve già nel XII secolo e che, dopo l’avvento nel 1425 dei Padri Minori Osservanti, aveva dovuto dividere con essi la propria sede. La sepoltura del Conte Guidantonio (1443) costituisce l’antecedente per il luogo in cui sarebbe sorto il mausoleo dei duchi Federico, Guidobaldo da Montefeltro ed Elisabetta Gonzaga, vale a dire la Chiesa di S.Bernardino, eretta per volontà testamentaria dello stesso Federico e ultimata nel 1491; solo nel 1496 i documenti citano in via definitiva la chiesa di S. Bernardino e non più di S. Donato. La fabbrica degli edifici conventuali sarebbe stata iniziata nel 1437 per volontà di Guidantonio e proseguita da Oddantonio (1443-1444); nel 1475 la costruzione doveva essere agibile (AA.VV. 1997). Tra le più importanti opere dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1502), la chiesa, nel suo interno con le tre absidi e le quattro colonne agli angoli della crociera, sembra rifarsi volutamente alle tipologie delle tombe romane monumentali (Burnsh 1993).

3. La deposizione originaria
Federico da Montefeltro morì il 10 settembre 1482 a Ferrara; fu portato a Urbino e gli furono tributate esequie solenni. Il corpo di Federico, imbalsamato, fu posto in una cassa di legno che fu appesa alla parete sulla destra dell’altar maggiore nella chiesa di S.Bernardino, e lì rimase almeno fino al 1620, quando vennero realizzati i due cenotafi appoggiati alle pareti della navata e il corpo del duca fu deposto con quello dei suoi familiari nella camera sepolcrale al di sotto del pavimento. Ce lo testimonia la descrizione che ne dà nel 1603 Bernardino Baldi, uno dei maggiori biografi di Federico  "…il suo corpo condotto alla chiesa de’ Zoccolanti, non fu sepolto in terra, né posto in arca o monumento di marmo: ma curato, ed unto di balsamo, dentro ad una cassa di legno appesa al muro in parte elevata alla destra dell’altar maggiore, ove si conserva sotto la coperta di un gran broccato d’oro, ed è fino al giorno d’oggi intiero, incorrotto e simile ad una effige di legno con la pelle bianca e disteso… non punto orrendo, né spaventevole. Ha indosso un giubbone di raso cremesino, con calse di scarlatto, ed in capo un berrettone di color rosso all’antica; è involto in robba lunga di raso tanè, foderata di armesino rosso ed ha la spada a lato. Tale vedesi a punto quale noi l’abbiamo veduto…". L’uso di deporre  i corpi di personalità di spicco, nobili o prelati, ad una certa altezza da terra, in sarcofagi aerei è ben documentata in Italia già in epoca medievale. Significativi esempi sono il sepolcro trecentesco di Galeotto Malaspina (1367) nella collegiata di S.Remigio a Fosdinovo in Lunigiana e, in area adriatica, il sepolcro di Pandolfo III Malatesta (1427), inserito nella facciata della chiesa di S. Francesco a Fano. Anche i corpi dei nobili napoletani della corte aragonese di Napoli, tra XV e XVI secolo, furono deposti in casse lignee appese alle colonne della chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli. Questa modalità di deposizione, unita alla pratica diffusa di imbalsamare il cadavere del defunto, ha sovente permesso la conservazione dei corpi e, come è testimoniato dal Baldi, anche il corpo del Duca, prima di essere spostato in ambiente sotterraneo umido, era ben conservato, evidentemente mummificato. Ci mancano notizie e documenti che  chiariscano come fossero collocati  i corpi di Guidobaldo, Elisabetta e del piccolo Federico prima della sistemazione seicentesca, quando furono posti entro bare all’interno della camera sepolcrale sotto il pavimento della chiesa.

4. Le riesumazioni passate
Le riesumazioni che hanno preceduto quella attuale sono state due: la prima avvenne il 12 luglio 1824, la seconda il 1 dicembre 1938. Il verbale della prima riesumazione si presenta particolarmente ricco di informazioni per quanto riguarda lo stato originario delle deposizioni e la conservazione dei corpi e dei corredi: l’apertura del sepolcro sotterraneo avvenne in occasione del restauro dei monumenti-cenotafi di Federico II e Guidobaldo III. Le casse erano deposte con andamento Nord Sud: a Nord stavano, parallele fra loro, quelle del Duca Federico e del figlio Federico; a Sud, sempre parallele fra loro, quella della duchessa Elisabetta Gonzaga e quella del Duca Guidobaldo. Le casse lignee risultavano complessivamente ben conservate e racchiudevano ognuna un’altra cassa di piombo. Le ossa dei principi erano piuttosto mal ridotte, fatta eccezione per Elisabetta Gonzaga di cui si vedeva quasi intero lo scheletro e il cranio. Nelle casse non erano presenti elementi di corredo al di fuori delle vesti di seta di color paonazzo. Il documento stilato in occasione della riesumazione del 1938 attesta invece lo stato di conservazione già pessimo delle casse. Le quattro casse mortuarie "…sconnesse e malandate, contenenti pochi resti consunti e quasi distrutti…" sono state trovate nella stessa posizione descritta nel verbale della ricognizione del 1824. Anche il rivestimento in piombo interno alle casse risulta già rotto e consunto. I brandelli più consistenti delle vesti furono raccolti e collocati in una cassetta a parte, e così pure le macerie provenienti dalle screpolature dell’intonaco. Le casse con i corpi dei duchi furono poste in un’unica grande cassa di larice, larga m 1,40, lunga m 2, e alta m 0,50, rivestita di zinco e divisa da tavole longitudinali, separanti le tre casse più grandi.   

5. La riesumazione attuale
L’accesso alla camera sepolcrale dei duchi è avvenuto da una camera sepolcrale contigua, situata nella parte destra e anteriore della navata. L’ambiente è apparso come era stato lasciato al momento dell’ultima esumazione del 1938. Un’unica grande cassa  rivestita di zinco a Nord e due piccole cassettine a Sud, una contenente stoffe l’altra frammenti di intonaco. Si è quindi proceduto, dopo aver effettuato la necessaria documentazione fotografica e grafica, a rimuovere lo zinco di rivestimento e il coperchio ligneo della grande cassa. Le condizioni di conservazione del legno erano alquanto mediocri a causa dell’umidità dell’ambiente: una pozza d’acqua stazionava addirittura al di sopra dello zinco. Aperta la grande cassa del 1938, sono apparse le casse originali in legno, con infisse sul coperchio le epigrafi in piombo fuso. Le casse apparivano piuttosto mal conservate ma comunque leggibili nella loro struttura. Internamente alle casse c’era un ulteriore contenitore in piombo molto mal conservato. Le condizioni di conservazione dei corpi sono apparse subito di estremo degrado: a mala pena riconoscibili poche ossa frammiste a brandelli di stoffe. Le deposizioni erano state manomesse, le poche ossa residue non più in connessione, assenti elementi di corredo.

6. Metodologia e strategia
Dopo aver verificato lo stato di conservazione delle deposizioni e le caratteristiche dell’ambiente sepolcrale, data l’impossibilità di estrarre le casse dal sotterraneo, fu deciso di allestire un laboratorio provvisorio nella camera adiacente a quella del sepolcro, trasportandovi l’attrezzatura fotografica, le lampade ed il materiale per i prelievi. I coperchi delle casse sono stati fotografati in situ e quindi rimossi. Ogni deposizione è stata suddivisa longitudinalmente in tre settori A – B – C, dopodiché si è proceduto a prelevare i reperti osteologici, i tessuti, i reperti metallici e la microfauna intrusiva. I sedimenti residui sono stati pure totalmente prelevati per essere vagliati in laboratorio con setacciature e flottazione. Si è quindi effettuata una campionatura del legno del coperchio di ogni singola cassa e del piombo di rivestimento interno, così come del piombo fuso che compone le lettere delle iscrizioni infisse sui coperchi.
Ogni deposizione è stata rilevata utilizzando le schede in uso presso la divisione di paleopatologia del dip. di Oncologia, dei Trapianti e delle nuove tecnologie in medicina dell’università di Pisa.

 

7. Reperti
Le casse mortuarie al momento della riesumazione risultavano posizionate secondo quanto descritto nel 1938.
La grande cassa di larice rivestita di zinco, costruita nel 1938, consiste in un parallelepipedo di  2 x 1,48 x 0,52m.
Passiamo ora alla descrizione delle singole casse mortuarie:

URB FF1
Cassa di abete di piccole dimensioni : 77x 29×15 cm, alta  24 cm. Sul coperchio della cassa in lettere di piombo infisse nel legno campeggia la scritta:
FED.FILIV
FEDERICI

Il contenitore in piombo interno alla cassa si è fortemente alterato ripiegandosi su se stesso, mentre in origine era composto di lastre di piombo saldate agli spigoli e quindi inchiodate nel legno della bara. La cassa presenta internamente ed esternamente chiazze scure causate dall’ossidazione delle impurità del piombo. I chiodi passanti nel piombo non hanno i loro alloggi corrispondenti nella cassa lignea che non è quella originale, ed è molto simile a quella costruita nel 1938 per deporvi le casse più antiche, infatti è assemblata con incastri a coda di rondine rinforzati da chiodi di fattura industriale. Il coperchio con l’epigrafe è invece l’originale e si presenta molto mal conservato.

URB FF2
Cassa di abete di 185x54x27 cm , alta 22cm. Il coperchio ha, a differenza della cassa, forma antropoide e misura 188x50x30 cm.
Sopra il coperchio campeggia la scritta:
FED P. VRB
DVX   II

L’iscrizione è stata fissata incidendo il legno e applicando nelle incisioni delle lettere di piombo ribattute. La cassa, distinta dalle altre dai tramezzi del 1938, presenta chiodi a testa quadrata e appare in cattive condizioni, con il fondo totalmente scomposto e frammentato. Il contenitore in piombo interno alla cassa originale è molto mal conservato, con il fondo e le pareti accartocciate e collassate.

URB FF3
La cassa, come le altre in pessimo stato di conservazione, conserva il proprio coperchio originale ed il fianco destro, mentre il fianco sinistro è stato sostituito in epoca recenziore.
Non è possibile ricostruire con precisione le dimensioni della cassa a causa della mancanza dei lati brevi. Il coperchio misura 179×42,5x21cm. Sul coperchio è l’epigrafe, realizzata in lettere plumbee:              
ELISABHE
GONZAGA
VXOR
GVID.VRB.
DVCIS II

All’interno alcuni reperti ossei ( cranio, vertebre, rotule, epifisi tibiali inferiori) conservano la giusta posizione anatomica.

URB FF4
La cassa misura 188x35x14, e 25,5 cm di altezza. Il coperchio misura 188x50x25 cm ed è spesso 7cm in corrispondenza dei bordi. Sul coperchio campeggia la scritta: 
GVIDVRB
DVX III

Internamente il materiale si presentava tendenzialmente ammassato verso il terzo superiore verosimilmente ad opera di saccheggiatori. Insieme ai frammenti di stoffa sono stati rinvenuti due puntali metallici.
Date le dimensioni delle casse, considerando uno scarto di 10 cm ,si può postulare che le altezza degli individui deposti all’interno fossero all’incirca le seguenti: FF1 ( 76,5 cm); FF2 (174,5 cm); FF3 (168,6 cm); FF4 (177,7 cm). Naturalmente questi dati vanno presi con beneficio d’inventario e più che una misura assoluta ci suggeriscono i reciproci rapporti di altezza  tra gli individui.

8. Scheda osteologica
Si dà qui una breve descrizione macroscopica dei reperti osteologici  appartenenti al duca Federico II di Montefeltro (URB FF2) osservati in fase di riesumazione. La descrizione comprende la notazione degli attacchi muscolari evidenti sulle ossa e la notazione di eventuali patologie. I reperti ossei non risultavano più essere nella corretta posizione anatomica, ma sono stati soggetti a vari spostamenti e rimescolamenti a causa di interventi postdeposizionali di saccheggiatori.

Settore A
–     Porzione inferiore e spina della scapola di sinistra: inserzioni forti del deltoide, piccolo rotondo, grande rotondo grande romboide. La scapola risulta fortemente modellata dal sottospinato.
–     Testa dell’omero sinistro. Forte inserzione del piccolo rotondo.

Settore B
–      Primo metatarsale di sinistra: discreto attacco dell’adduttore dell’alluce, discreto attacco del breve flessore dell’alluce. Il lato mediale dell’epifisi distale del primo metatarsale presenta una lesione litica circoscritta periarticolare di aspetto escavato con margini grossolanamente definiti aggettanti che delimitano la superficie della lacuna. All’interno della lesione si nota la presenza di osso spugnoso neoformato reattivo. Si osserva pure sclerosi perilesionale2. Si tratta degli esiti di un processo infiammatorio cronico a carattere prevalentemente distruttivo ma anche riparativo che interessò gran parte del lato mediale del’epifisi (Aufderheide 1998). Le caratteristiche delle lesioni ossee sono quelle tipiche della gotta (artrite urica).
–      Porzione di cresta iliaca: poderoso attacco dell’obliquo interno dell’addome e dell’obliquo esterno dell’addome. Forte attacco del quadrato dei lombi , del sacro lombare e del mediogluteo.

Settore C
–      Porzione distale di ulna sinistra: forte inserzione dell’estensore dell’indice, forte inserzione del pronatore quadrato.
–      Porzione distale del radio destro: discreta escavazione del pronatore quadrato, discreta doccia per l’estensore proprio dell’indice, discreto attacco del breve estensore del pollice.
–      Due frammenti di parte media di coste.
–      Tratto posteriore della ottava costa di destra.

L’osservazione degli attacchi muscolari e delle tracce che questi hanno lasciato sulla struttura ossea ci permette di trarre alcune conclusioni: la muscolatura propria della spalla e del braccio sinistro risulta particolarmente sviluppata. Sono questi i muscoli implicati nei grossi movimenti della spalla e del braccio come elevazione, rotazione, avvicinamento al tronco del braccio; abbassamento e innalzamento della spalla. Sono sviluppatissimi i muscoli del bacino: l’obliquo interno dell’addome flette il torace sul bacino, solleva il bacino verso il torace, fa ruotare lateralmente la colonna lombare. Il quadrato dei lombi inclina lateralmente la colonna lombare, abbassa le coste, ed inclina il bacino lateralmente. Il sacro lombare estende la colonna vertebrale. Il mediogluteo allontana e ruota medialmente la coscia (Testut 1923). Questi muscoli che hanno lasciato tracce evidentissime dei loro attacchi sulla cresta iliaca denotano un’attività fisica notevolissima che ha interessato questo distretto e sono tutti muscoli implicati nei movimenti propri dell’equitazione.

9. Conclusioni
Le osservazioni  fatte fin qui sono del tutto preliminari e derivano da una prima analisi macroscopica dei reperti. Sono in corso  analisi più approfondite sui materiali osteologici , sui reperti metallici, lignei e sui tessuti, nonché la setacciatura dei sedimenti residui all’interno delle casse. Il caso di gotta che è stato descritto macroscopicamente ci dà già comunque una conferma che il corpo deposto in URB FF2 appartenga al Duca Federico II; dalle fonti scritte risulta infatti che egli soffrisse di una forma grave di questa malattia che gli impediva negli ultimi anni di vita di cavalcare e prendere parte attiva alle battaglie. Altre patologie non è stato per ora possibile evidenziarle ma discretamente interessanti risultano le osservazioni sugli attacchi muscolari poderosi del bacino, in particolare della cresta iliaca che sono la conseguenza  di un’attività fisica notevole da mettere in relazione con la pratica dell’equitazione. Lo studio tafonomico e archeologico di deposizioni post-medievali permette, nel caso in cui le deposizioni siano ben databili e ben conservate, di accedere a piccoli bacini stratigrafici chiusi o in cui gli interventi post-deposizionali sono generalmente ben circoscrivibili , e di avere quindi un terminus ante quem preciso per gli oggetti di corredo eventualmente rinvenuti; ma al di là di questo un ‘osservazione accurata delle modalità di deposizione ci dà la possibilità di accedere per via diretta, attraverso il dato materiale concreto, alla cultura della morte delle popolazioni dell’età moderna, offrendo dati nuovi e originali per la storia delle mentalità.

Bibliografia
AA.VV. 1997, Urbino: San Bernardino, www.info-net.it/, Urbino.
Aufderheide A.C., Rodriguez Martin C. 1998, The Cambridge Encyclopedia of Human Paleopathology,    Cambridge.

Baldi B. 1884, Vita e Fatti di Federico di Montefeltro duca di Urbino, Roma.
Burns H. 1993, Francesco di Giorgio architetto, a cura di F.P.Fiore e M.Tafuri, Milano.
Cucco G. 1999, Urbino, Guida storico artistica, Urbino.
Della Rovere F.M. II.1993, Diario, a cura di Fert Sangiorgi, Urbino.
De La Sizeranne R.  1927, Le vertueux condottière Federico de Montefeltro, Paris.
Mallegni F., Rubini M. 1994, Recupero dei materiali scheletrici umani in archeologia, Roma.
Roberts C., Manchester K. 1995, The Archaeology of Disease, Ithaca, New York.

Tommasoli W., 1978, La vita di Federico da Montefeltro, Urbino
Testut L. 1923, Anatomia Umana, Torino.

NOTE:
1 Si ringrazia la dott.ssa Maria Giannatiempo, ispettrice della Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici delle Marche, per la sua disponibilità ad effettuare l’esplorazione delle tombe dei duchi.
2 Si ringrazia la dott.ssa Paola Roberta Faggioni per le foto dei reperti patologici.