Il “Caso” Galileo

Il 3 marzo 2008 il prof. Galluzzi, direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, ha dato inizio alle celebrazioni galileiane annunciando il progetto della riesumazione del corpo di Galileo, le cui spoglie sono conservate all’interno della basilica di Santa Croce a Firenze. Il progetto ha suscitato molte polemiche e la netta opposizione non soltanto del consiglio dell’Opera di Santa Croce ma anche di alcuni esponenti della cosiddetta “cultura laica”, tra cui il prof. Franco Cardini e il prof. Piergiorgio Odifreddi.

Presentiamo in questa pagina tre articoli pubblicati sul quotidiano “La Repubblica” ed una riflessione del prof Fornaciari.

da “La Repubblica” del 3 marzo 2008

Galileo, scontro sulla salma: “Riesumatelo”, “No, lasciatelo in pace.”

La richiesta di uno studioso: sapremo se il corpo sepolto con lui è quello della figlia. Le reazioni dei vertici dell´Opera: ne abbiamo discusso ma siamo tutti contrari
di Mara Amorevoli

Lasciate in pace Galileo. Dopo le esumazioni e gli studi delle spoglie dei Medici, quelle più recenti sui resti di Pico della Mirandola e Poliziano, nell´anno dell´astronomia e delle celebrazioni dei 400 anni dalla scoperta del cannocchiale, le sofisticate indagini sul Dna dovrebbero toccare anche a Galileo, allo scienziato sepolto tra i grandi della Basilica di Santa Croce. Invece la richiesta inoltrata da Paolo Galluzzi, direttore dell´Istituto e Museo di Storia della Scienza ai vertici dell´Opera di Santa Croce, guadagna una drastica bocciatura. «Ne abbiamo discusso nella seduta del consiglio – racconta la presidente Stefania Fuscagni – e i sei membri hanno espresso la propria contrarietà, tant´è che non ho fatto neppure votare la proposta. Io stessa, come l´ex presidente Carla Guiducci Bonanni, sono scettica e perplessa. E´ un´idea quasi morbosa, non mi rallegra, serve solo a qualcuno per farsi pubblicità, non capisco cosa possa sortire in più di quello che già sappiamo sulla grandezza dello scienziato».
Di parere nettamente opposto il professor Galluzzi, che ha invece spiegato e motivato il suo progetto di studi e rilievi scientifici, durante la presentazione della prima mostra che inaugura le celebrazioni galileiane del 2009, dedicata a “Il telescopio di Galileo – Lo strumento che ha cambiato il mondo”. «Ho inoltrato la richiesta di riesumazione perché finalmente potremo avere la certezza che il corpo tumulato insieme a quello di Galileo è quello della figlia Suor Maria Celeste, morta otto anni prima di lui – spiega Galluzzi – Gli studiosi paleopatologi delle università di Firenze e Pisa potranno fare le analisi del Dna, e svelare il mistero. Potranno inoltre dirci se davvero Galileo morì cieco, che tipo di patologie visive avesse e infine, oltre all´occhio, potranno fornirci altri elementi scientifici su suo cervello». Infatti si sa che Galileo morì nelle villa di Arcetri a 78 anni nel 1642, dopo aver passato gli ultimi anni in reclusione.

L´Inquisizione ne proibì la sepoltura nel pantheon di Santa Croce, tra le “urne dei forti” cantate da Foscolo, dove tra gli altri si trovano i sepolcri di Machiavelli, Michelangelo, Leon Battista Alberti. «Così la sua salma venne tumulata sotto il campanile del noviziato di Santa Croce e solo dopo 94 anni dalla morte, nel 1736, fu traslata dentro alla Basilica – racconta Galluzzi – Ci fu una fastosa cerimonia massonica e una lunga processione, raccontata da un notaio che registrò tutto. Quando fu aperto il tumulo che non aveva scritte o segni, furono trovati due corpi. Gli anatomisti di allora stabilirono che uno era di un uomo in età avanzata e l´altro di una donna, appunto la figlia. La riesumazione permetterebbe di far chiarezza sulle salme e con le analisi del Dna, di fornirci importanti dati scientifici».
E chissà se il consiglio dell´Opera di Santa Croce avrà intenzione di fare marcia indietro sul parere negativo già anticipato dalla presidente Fuscagni. Non è l´unico contrario a questo tipo di indagini, che ultimamente adombrano una sorta di “necrofilia” nei confronti degli uomini illustri fiorentini. Anche il medievista Franco Cardini, alla notizia che dopo la dinastia dei Medici, le indagini di Dna e Tac avrebbero portato alla riesumazione dei resti di Pico della Mirandola e Poliziano, era insorto manifestando il suo disappunto.

Il 3 marzo 2008 il prof. Galluzzi, direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, ha dato inizio alle celebrazioni galileiane annunciando il progetto della riesumazione del corpo di Galileo, le cui spoglie sono conservate all’interno della basilica di Santa Croce a Firenze. Il progetto ha suscitato molte polemiche e la netta opposizione non soltanto del consiglio dell’Opera di Santa Croce ma anche di alcuni esponenti della cosiddetta “cultura laica”, tra cui il prof. Franco Cardini e il prof. Piergiorgio Odifreddi.

Presentiamo in questa pagina tre articoli pubblicati sul quotidiano “La Repubblica” ed una riflessione del prof Fornaciari.

da “Repubblica”, Cronaca di Firenze, del 5 marzo 2008

Lasciate in pace Galileo

di Piergiorgio Odifreddi

Premesso che Galileo non è un santo, anche se ci sono “scienziati” pazzerelli che l’hanno proposto per  la beatificazione e la santificazione, questa storia di riesumare salme, toccare reliquie, conservare pezzi del vestito o del corpo, sono cose da lasciar fare ai credenti, o meglio ai creduloni perché appartengono ad un’altra mentalità che non è scientifica. Di Galileo si devono riesumare non le spoglie, ma le idee, i risultati delle sue scoperte e osservazioni, che non sono morti ma spesso seppelliti dietro a cortine di mediaticità, dietro al Festival di Sanremo o ai miracoli Padre Pio. Come si fa a riesumare le idee al posto dei corpi? Invece di celebrare i santi scientifici con messe o pellegrinaggi, li si può onorare con festival, conferenze, iniziative. Noi stessi tra una settima avremo a Roma il Festival della matematica. A Firenze sono già partite le manifestazioni della Settimana della cultura scientifica. Ecco, queste sono celebrazioni come la messa di Pasqua. E come non basta solo una messa a Pasqua o a Natale a fare un buon credente, lo stesso vale anche per scienza, perché a parte la celebrazione annuale o centennale, serve la pratica quotidiana. Che inizia dal riprendersi i libri di Galileo in mano. Nel “Dialogo sopra i massimi sistemi”, ci sono le sue idee più feconde, le parole più elevate. Ricordo che Italo Calvino lo definì “il più grande scrittore italiano”. E così va letto il nostro primo e più grande divulgatore scientifico. Poi sono benemerite tutte le altre attività che ci fanno capire i suoi studi
In passato Firenze ha organizzato una mostra sul compasso di Galileo, ora ne ha aperta una sul cannocchiale: questo significa studiare il vero lascito dello scienziato. Meno che mai importa se era cieco, se la figlia è sepolta con lui, o scoprire la sua capacità cranica. Con Galileo, come con tutti gli scienziati, vale lasciar perdere il corpo e concentrarsi sulle astrazioni prodotte dalla sua mente. Senza dimenticarci, proprio per non santificarlo, di ricordare gli errori che fece, che furono tanti. “Il Saggiatore” del 1623 è un intero libro sbagliato: voleva dimostrare che le comete sono illusioni ottiche e non fenomeni fisici, svarione enorme anche se lì è contenuta la famosa pagina in cui paragona la natura e l’universo ad un libro aperto. Altro errore, nella quarta giornata del “Dialogo”, la teoria delle maree, poi corretta da Newton. Ma la scienza sa riconoscere i suoi errori e non c’è da vergognarsene. Comunque l’errore più grande di Galileo fu politico e non scientifico: aver abiurato. L’abiura è stato il vero passo falso e sta all’inizio del rapporto squilibrato tra scienza e fede, quello che permette a Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Fides et Ratio”, di dire che Galileo è un precursore del Concilio Vaticano II. Poveretto. E si deve proprio a questa sua posizione ambigua, di essersi inginocchiato con gli occhi bassi dopo aver passato la vita a guardare le stelle.
Lunedì 10 marzo, all’Auditorium di Roma, in una serata di interviste impossibili, intervisterò Galileo, che avrà la voce di Silvio Orlando, e gli chiederò queste cose, compresi i motivi dell’abiura. Peccato che il testo sia già scritto, se avessi saputo che lo avrebbero scomodato nella tomba ne avremmo parlato. Anche se sono sicuro che la risposta sarebbe stata analoga a quella di Beppe Grillo «Ma vaffa…». Lasciatelo riposare in pace.

Il 3 marzo 2008 il prof. Galluzzi, direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, ha dato inizio alle celebrazioni galileiane annunciando il progetto della riesumazione del corpo di Galileo, le cui spoglie sono conservate all’interno della basilica di Santa Croce a Firenze. Il progetto ha suscitato molte polemiche e la netta opposizione non soltanto del consiglio dell’Opera di Santa Croce ma anche di alcuni esponenti della cosiddetta “cultura laica”, tra cui il prof. Franco Cardini e il prof. Piergiorgio Odifreddi.

Presentiamo in questa pagina tre articoli pubblicati sul quotidiano “La Repubblica” ed una riflessione del prof Fornaciari.

da “Repubblica”, Cronaca di Firenze, del 6 marzo 2008

Non sono un necrofilo

di Paolo Galluzzi

Caro Odifreddi, ho letto su «La Repubblica» le tue considerazioni sull’ipotesi di riesumazione delle spoglie di Galileo. Condivido che di Galileo vadano valorizzate soprattutto le idee (che è il fine — come spero vorrai riconoscere — che perseguo da sempre). Mi ha stupito tuttavia che tu non abbia avvertito il bisogno di verificare quali ragioni mi avevano indotto ad avanzare la richiesta di riesumazione.
Non certo il desiderio di accaparrarmi un brandello della sua veste, né tanto meno un lacerto delle sue spoglie (peraltro, il Museo che dirigo conserva già un significativo reperto organico del Pisano!), bensì motivazioni umane e soprattutto scientifiche di notevole rilevanza.
Ho l’impressione che il tuo intervento finisca per dare sostegno a un atteggiamento di pregiudiziale opposizione alla richiesta di riesumazione che prescinde dalle precise motivazioni da me fornite. Il Rettore dell’Opera di Santa Croce — bontà sua — si è addirittura permesso di definire la mia proposta come una «carnevalata». Curiosamente sembra che gli sia sfuggito l’effetto paradossale prodotto da quella sua incauta affermazione nel giorno stesso nel quale la stampa dava grande rilievo a un’altra riesumazione alla quale si stava procedendo con adeguata solennità (mi riferisco alla riesumazione dei resti del personaggio al quale tu hai dedicato pagine di straordinaria efficacia).
Per tentare di rimuovere il sospetto che il progetto della riesumazione nasconda la mia malcelata inclinazione alla necrofilia, ti invito a leggere un mio vecchio lavoro (I sepolcri di Galileo. Le spoglie ‘vive’ di un eroe della scienza)dal quale risulta con lampante evidenza una delle ragioni della richiesta: acquisire la prova certa che, nel monumento di S. Croce, assieme a Galileo, si trovano i resti mortali della sua amatissima figlia, Suor Maria Celeste, della quale ignoriamo la sepoltura. Un atto di carità, laica e cristiana, nei confronti di una figura di grande umanità alla quale Dava Sobel ha dedicato un bel libro di successo. La seconda ragione rispecchia una richiesta di importanti studiosi inglesi e americani: verificare, attraverso l’analisi del DNA, la patologia visiva della quale soffriva Galileo. Una risposta precisa a questo interrogativo costituirebbe un’informazione essenziale per la nostra piena comprensione della complessa interazione che si verificò tra il cannocchiale, da un lato, e l’occhio e il cervello di Galileo, dall’altro, nel processo di osservazione dei corpi celesti che lo portò a scoprire novità sensazionali.
Almeno per una volta, dunque, mi trovo in disaccordo con te, pur condividendo l’opportunità di conferire centralità alla diffusione delle idee di Galileo. Un obbiettivo che va perseguito caparbiamente non solo con festival e interviste impossibili, ma anche alimentando rigorosi processi di ricerca storica. Che è appunto quello che la riesumazione delle spoglie di Galileo ci aiuterebbe a fare in maniera più precisa, documentata ed efficace.

Il 3 marzo 2008 il prof. Galluzzi, direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, ha dato inizio alle celebrazioni galileiane annunciando il progetto della riesumazione del corpo di Galileo, le cui spoglie sono conservate all’interno della basilica di Santa Croce a Firenze. Il progetto ha suscitato molte polemiche e la netta opposizione non soltanto del consiglio dell’Opera di Santa Croce ma anche di alcuni esponenti della cosiddetta “cultura laica”, tra cui il prof. Franco Cardini e il prof. Piergiorgio Odifreddi.

Presentiamo in questa pagina tre articoli pubblicati sul quotidiano “La Repubblica” ed una riflessione del prof Fornaciari.

Riesumare, conservare, analizzare: la risposta del paleopatologo.

di Gino Fornaciari

Esiste una disciplina in Italia e nel mondo, chiamata paleopatologia, la quale coinvolge oramai un numero consistente di ricercatori, che si prefigge lo scopo di studiare i fenomeni patologici del passato. Questo tipo di studi, come è facile intuire, ha una grande importanza medica – permette infatti di confrontare le patologie antiche con le attuali e di coglierne sviluppi e mutamenti – e soprattutto storica, dato che la ricostruzione dell’ambiente patologico antico contribuisce in modo sostanziale alla ricostruzione del quadro storico dell’ecosistema umano. Le malattie infatti non sono isolabili come entità astratte dall’ambiente in cui operano ma sono la conseguenza di mutamenti spesso indotti dall’uomo. Premesso questo, si comprenderà come l’unica maniera di accedere senza mediazioni a queste importanti informazioni è ricavarle dallo studio dei corpi umani antichi. Aggiungiamo a quanto detto che i migliori “contenitori” di informazioni, veri e propri archivi biologici, come sono anche stati chiamati, sono i corpi mummificati, che conservano oltre allo scheletro i tessuti molli. Non è naturalmente un caso se molti dei corpi mummificati appartengono a personaggi che godevano nell’antichità di notevole prestigio, ed ecco perché molti dei migliori casi di studio vanno ricercati tra personaggi celebri, mummificati o di cui comunque è stata garantita una buona conservazione. Ne sono un esempio lampante proprio i corpi dei santi, conservati per motivi di culto, ma che dal punto di vista paleopatologico hanno la stessa importanza, ovviamente, di chi santo non è. “La morte livella ogni cosa” e “tutti siamo uguali di fronte alla morte” sono espressioni entrate nell’uso comune ma che non corrispondono necessariamente al destino del corpo, specie se si tratta del corpo di qualche personalità del passato. L’apertura dei sepolcri monumentali ha anche un altro valore aggiunto, ed è quello di constatare lo stato di conservazione del defunto, se è vero che questo rappresenta un bene biologico e storico da tutelare, e non è un caso che spesso simili operazioni vengano svolte proprio in occasione del restauro dei monumenti funebri (vedi Cangrande della Scala riesumato a Verona nel 2004). Nel caso della riesumazione dei Medici, che spesso è tirata in ballo nelle polemiche di questi giorni, voglio sottolineare come questa abbia garantito, oltre ad ottimi risultati storico-scientifici, anche il risanamento di una situazione pesantemente compromessa dall’alluvione del 1966.  Per fare un esempio, all’interno della cripta di Gian Gastone la violenza dell’acqua aveva provocato lo spostamento e la dispersione delle piccole ossa di almeno otto individui infantili della casa medicea; la riapertura del sepolcro ha permesso di ricomporre gli scheletri dei bambini a cui, sulla base delle indagini antropologiche e molecolari, sarà presto attribuita un’identità. Questa piccola premessa mi pareva d’obbligo per giustificare l’interesse puramente storico-scientifico e di tutela delle riesumazioni. Altra cosa è il clamore mediatico, spesso animato da morbosa curiosità, che purtroppo spesso accompagna simili operazioni, e che ricorda, questo sì, le riesumazioni alla Padre Pio. Il prof. Cardini, che è recentemente intervenuto criticando la proposta di riesumazione di Galileo, avrà colto sicuramente, nelle espressioni stupefatte usate dal vescovo di Manfredonia e da certi cronisti cattolici nel descrivere l’apertura del sarcofago di San Pio da Pietralcina, un’eco di certe inventiones medievali, dove allo stupore per la conservazione del corpo si univa la percezione di dolci paradisiache fragranze: un bell’invito per gli antropologi del mondo contemporaneo ad indagare su questa persistente eredità culturale, ma non è certo la ricerca di questo stupore o al contrario una malevola volontà profanatrice che spinge i paleopatologi moderni ad aprire i sepolcri degli antenati. Anche a Piergiorgio Odifreddi andrebbe fatto presente che non c’è parentela di sorta tra la riapertura della tomba di un santo per motivi di culto, per altro pienamente legittima, e quella motivata da necessità di tutela e di conoscenza. Proprio quella volontà di conoscere e di indagare nel grande libro della natura che era propria di Galileo non sembra in contraddizione con la proposta del prof. Galluzzi, e non credo che questo vada ad inficiare o impoverire altre manifestazioni dedicate alla scienza nell’anno galileiano, anzi può arricchire la nostra conoscenza sull’uomo Galileo e soprattutto sull’ambiente nel quale quest’uomo ha vissuto e operato. Se c’è il pericolo mediatico di incorrere nell’osservazione giornalistica morbosa sul corpo o le vicende personali di Galileo e di conseguenza dimenticare la grandezza del suo pensiero – ed è questo forse che soprattutto paventa Odifreddi – lo inviterei a soffermarsi più sugli aspetti storico-scientifici della questione, a leggere un po’ di riviste che fanno della seria divulgazione ed a riflettere sul fatto che non esistono solo la matematica e la fisica tra i campi che meritano di essere percorsi dall’ingegno umano. Se invece a turbare Odifreddi è il presunto pericolo di “profanare” il corpo dell’illustre scienziato, che andrebbe a suo dire “lasciato riposare in pace”, allora viene da pensare che sotto la scorza di ateo convinto lo stesso Odifreddi nasconda un’atavica ritrosia verso il contatto con l’”impurità” del cadavere, un’eredità antropologica che lo accomuna a certe persistenze culturali profonde, presenti anche nel mondo cattolico, ma schermate dalla sacralità attribuita al corpo del defunto.