Indagini archeologiche/2

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L’indagine archeologica: la fondazione di Poggio Bonizio, 1155

Posto a controllo della via Francigena ed in funzione antifiorentina, Poggio Bonizio (il cui toponimo sembra trovare origine dal nome di una castellano della vicina Marturi, citato in una carta dell’anno 1075: Bonizo gastaldo de Marturi).fu edificato attraverso l’impiego di maestranze specializzate che dettero corpo ad un impianto urbano ispirato a modelli cittadini. Il castello, atipico per l’epoca, nelle sue dimensioni e nell’assetto urbanistico, doveva essere esteso circa sette ettari; fu dotato di una grande cisterna a pianta circolare, probabilmente pubblica che, insieme alle sottostanti Fonti, approvvigionava l’intera popolazione residente.
Guido Guerra, definito dalla cronachistica di poco successiva «il potentissimo conte Guido, che di per sè vale quasi una città e una provincia» (Cronaca di Sanzanome), dovette impegnare dei capitali cospicui nell’impresa. Riporta il Villani: «Lo edificarono con ricche mura e porte, e con torri di pietra adornarono» e poi «questo Podium Bonizi fu il più forte e bello castello d’Italia, posto quasi nel bilico della Toscana ed era con belle mura e torri e con molte belle chiese e pievi e ricche badie e con bellissime fontane lavorate di marmo e abitato e accasato di gente, come una buona città» (Lib.VII, cap.36).

L’urbanistica di Poggio Bonizio si caratterizzava per la costruzione di lunghe case a schiera in travertino e calcare (dimensioni medie intorno a 21 x 5,50 m) articolate in moduli regolari, con tetto in lastrine di calcare e ingresso a doppia arcata. Queste strutture sono molto rare all’interno dei castelli ed i confronti più probanti provengono infatti dall’articolata tipologia degli edifici urbani ben noti in ambito pisano. Si tratta però di modelli tradotti in una scala dimensionale più modesta, meno elaborata: minore numero di piani e di annessi, tecniche costruttive meno sofisticate.

La nascita del castello di Poggio Bonizio si inserisce in quel tentativo delle casate forti (e talvolta anche degli enti monastici più potenti e dei vescovi) di consolidarsi territorialmente in contemporanea ad una progressiva e sempre più pressante espansione delle città verso le aree rurali interne. E’ espressione del cosiddetto “secondo incastellamento”, che si caratterizza per la capacità signorile di coordinare e progettare la nascita, l’espansione o la ristrutturazione ordinata dei propri centri di potere.
Soprattutto Poggio Bonizio si pone nel novero delle imprese di tipo monumentale, delle quali fanno parte anche Semifonte (fondato dai conti Alberti) , Gambassi novum (fondato dal vescovo di Volterra), Radicondoli (fondato dai conti Aldobrandeschi), Belforte (fondato in collaborazione dai conti Aldobrandeschi e dal vescovo di Volterra) , Castelnuovo dell’Abate (fondato dal monastero di Sant’Antimo), Castel di Badia e Piancastagnaio (entrambi fondati dall’abbazia di San Salvatore sull’Amiata).

L’indagine archeologica: Poggio Bonizio nel XIII secolo, una quasi città

L’aspetto del grande castello iniziò ad evolvere verso la fine del XII secolo, proprio gli anni in cui si andava formando il comune (sono infatti attestati nelle fonti archivistiche consoli e podestà).

Alla trasformazione politico-istituzionale seguì una trasformazione urbanistica con lo sviluppo di un esteso borgo fuori dalle mura suddiviso in almeno quattro, forse cinque, contrade.
Gli effetti materiali del passaggio da nucleo signorile a organizzazione di tipo comunale si leggono nella formazione di un mercato e di una zona di servizi per i viaggiatori in transito sulla Francigena. Poggio Bonizio era un centro in marcato sviluppo, dotato di almeno tre chiese; una comunità in continua crescita con una popolazione caratterizzata da intraprendenza imprenditoriale, impegnata in una vasta gamma di attività artigianali.
&nbs5 Dicembre, 2007 Le ulteriori trasformazioni a cui andò soggetto il centro, rappresentano la testimonianza di uno sviluppo costante e l’adeguamento della funzionalità degli spazi alla nuova realtà demografica ed economica di una fiorente comunità.
Una delle caratteristiche principali dell’insediamento, cioè la grande attenzione alle acque, deve essere letta in un’ottica di impianto urbano regolato, ben progettato ed eseguito da maestranze di rilievo. Le cisterne rinvenute, la presenza di murature più antiche (attribuibili alla prima fase di Poggio Bonizio) rilevate nel complesso Fonte delle Fate, le notizie dei cronachisti sulle numerose fontane presenti nel villaggio (da Villani a Fra’ Mauro da Poggibonsi), non ultime le testimonianze di Ciaspini e Pratelli sulla galleria in gran parte murata che si dipartiva dalla stessa Fonte delle Fate in direzione della collina (quindi verso la grande cisterna), lasciano facilmente ipotizzare l’esistenza di una accurata rete di bottini.

L’indagine archeologica: la distruzione del castello

Dopo la conquista di Carlo d’Angiò del 1267 ebbe inizio la costruzione di un cassero (quasi sicuramente da porre nell’attuale area del cassero mediceo).
Firenze acquistò i diritti sul villaggio e vi pose un proprio presidio.
Un anno più tardi, spinta dalla calata di Corradino di Svevia, la popolazione scacciò gli occupanti e si pose sotto la sua protezione.
Il destino di Podium Bonizi è a questo punto inscindibilmente legato alla breve avventura dell’imperatore. A distanza di due mesi dalla sua morte (1270) il castello fu assediato ed espugnato da Guido di Monfort (vicario generale di Carlo d’Angiò); Firenze pagò una grossa somma in denaro per il diritto alla completa distruzione che non si limitò alle difese ed agli edifici principali, ma pare essere stata totale. La cronachistica di poco posteriore narra dell’abbattimento di abitazioni, chiese e dell’interramento delle fontane.

La popolazione fu fatta trasferire nel sottostante borgo di Marturi (l’odierno Poggibonsi) e venne promulgato solenne divieto di ricostruire il castello. La nuova comunità riuscì ancora per alcuni anni nel condurre una politica autonoma ed a fortificare con un’estesa cinta muraria il villaggio.
La distruzione e la destrutturazione dell’insediamento, voluti da Firenze nel 1270 (cioè dieci anni dopo l’ampliamento della cinta muraria) investì quindi la massima espansione degli spazi fortificati e ad una Podium Bonizi che occupava più o meno lo stesso spazio poi delimitato dalla cinta rinascimentale.

L’indagine archeologica: Monte Imperiale (1313)

Dopo la distruzione fiorentina di Poggio Bonizio del 1270, il luogo venne scelto quarantanni dopo dall’imperatore Arrigo VII per la fondazione di una nuova città che doveva svolgere la funzione di caposaldo per la stabilizzazione del potere imperiale in Toscana.

Le macerie ancora presenti sul luogo furono impiegate per livellare la forte pendenza della collina. Sono riconoscibili, inoltre, nuove case, costruite riusando le strutture in migliore stato di conservazione, dotate di focolari quadrangolari in mattone ed una macelleria a pianta rettangolare allungata.
Si osservano chiaramente evidenze di piccole abitazioni impiantate su alcune delle lunghe case a schiera di Podium Bonizi.
In particolare il quartiere est rivela un riuso della struttura con l’impianto di focolari, livelli di frequentazione sotto forma di battuti, lo sfruttamento di un silos per grano probabilmente come pozzo per acqua piovana mentre una cisterna (forse perchè pesantemente obliterata dal crollo delle proprie strutture sommitali e da quello delle strutture circostanti) venne riutilizzata come un ambiente abitativo appoggiandovi uno spesso battuto di terra.

Non escludiamo che questa zona sia stato impiegata (reintegrando i muri già esistenti) per alloggi o acquartieramento di membri del seguito imperiale; tra la grande quantità di vetri rinvenuti infatti, sono venuti in luce reperti molto particolari come per esempio un reliquario di fattura estremamente pregiata con pochissimi confronti in Europa.
I livelli rilevati indicano comunque che molte delle strutture relative a Poggio Bonizio erano ancora ben visibili nel 1313.
Lo scavo mostra come Arrigo progettò meticolosamente la nuova città di “Monte Imperiale”; intendeva sicuramente riusare la possente cinta muraria superstite e realizzò un esteso sistema di fognature che sembra attraversare la collina con regolarità. La fine della breve avventura italiana di Arrigo VII coincise con la fine del nuovo centro; le milizie fiorentine attaccarono la collina e distrussero nuovamente l’abitato.
La popolazione fu definitivamente trasferita nel sottostante Borgo Marturi, l’odierna Poggibonsi e la collina ebbe essenzialmente funzione di cava per materiali lapidei.

L’indagine archeologica: la fortezza di Lorenzo il Magnifico

fortezzaLa fortezza di Lorenzo il Magnifico ebbe come traduttore dei suoi “pensieri architettonici” Giuliano da Sangallo e come capomastro il fratello Antonio. Faceva parte di un complesso di fortificazioni in difesa della Repubblica fiorentina, a presidio dei confini con la Repubblica di Siena.
Il complesso presenta una notevole omogeneità costruttiva data dal prevalente uso del mattone e, con funzione soprattutto decorativa, del travertino locale. La pianta segue la morfologia del rilievo, adattandosi ad esso per sfruttarne le naturali potenzialità difensive.
La fortezza, unica in Toscana, ha una struttura che riprende la forma antropomorfa teorizzata da Francesco di Giorgio Martini per la ”città ideale”. E’ un’opera di fortificazione bastionata, poligonale, inseribile in un rettangolo dotato ai quattro vertici di bastioni e proteso verso la valle, su

E’ composta essenzialmente da un cassero, o ci5 Dicembre, 2007ito murario programmaticamente interrotto sul lato nord est, dove si intendevano riusare le mura superstiti dell’insediamento di XII/XIII secolo. La sua costruzione procedette con discontinuità; si alternarono infatti lunghi intervalli di sospensione dei lavori e cambiamenti di progetto.
Firenze destinò al cantiere, oltre che un ampio numero di maestranze specializzate (muratori, tagliatori, spianatori, fornaciai, carpentieri ecc.), centinaia di prigionieri pisani.
La costruzione della fortezza rinascimentale colpì pesantemente i depositi archeologici più antichi ed in particolare i resti delle strutture relative a Poggio Bonizio. La zona della piazza lastricata con la grande cisterna subì i maggiori danni essendo impiegata come zona per la produzione della calce e sottoposta ad una sistematica spoliazione delle strutture murarie qui presenti. Altre tracce dell’attività cantieristica ‘cinquecentesca sono individuabili nell’escavazione di molte trincee di spoliazione allo scopo, anche qui, di recuperare pietre. Infine attraverso la ricognizione di superficie sono state individuate due chiare concentrazioni di reperti mobili riferibili a fornaci per mattoni.

La cittadella non sembra avere mai funzionato pienamente e fu presidiata da truppe fiorentine, male armate, solo per alcuni decenni. Durante la cosiddetta “guerra di Siena”, fra il 1554 ed il 1555, non ebbe un ruolo strategicamente importante nel quadro dell’organizzazione militare come dimostra la sua destinazione a deposito di vettovagliamento per l’esercito fiorentino in Valdelsa.
Con la definitiva annessione di Siena al Ducato mediceo del 1557, la fortezza perse ogni funzione strategica ed agli inizi del XVII secolo venne disarmata. Alla metà del XVIII secolo l’intera area fu concessa a livello al cavaliere Alamanno de’ Topi e sino ai nostri giorni è rimasta adibita ad uso agricolo. Questa destinazione ha permesso la conservazione del complesso (non vi è stato costruito nè ha subito riutilizzi) ma al tempo stesso ha causato gravi danni e stati di degrado avanzato.

*Tutto il materiale di queste pagine è estratto dal sito www.paesaggimedievali.it dell’Università di Siena. Ogni diritto di riproduzione è riservato.