Premessa
La quinta campagna di scavo a Badia Pozzeveri ha avuto luogo tra il giugno e l’agosto del 2015, in regime di concessione ministeriale, grazie al supporto del Comune di Altopascio e della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Hanno lavorato sul cantiere, in entrambe le campagne di scavo, ventitre studenti iscritti alla Fieldschool Pozzeveri varata dall’Università di Pisa (Divisione di Paleopatologia) e dalla Ohio Sate University (Department of Anthropology), a cui sono subentrati per due settimane undici studenti del Master di primo livello in Bioarcheologia, Paleopatologia e Antropologia Forense organizzato dalle sedi universitarie di Bologna, Statale di Milano e Pisa. Le indagini sono riprese in aree già aperte nelle campagne precedenti (2000, 3000, 5000 e 6000); nel 2015 l’estensione totale della superficie indagata archeologicamente ha raggiunto una superficie totale di circa 720 m2 (Figura 1). Per maggiori informazioni sul progetto e sullo scavo si rimanda inoltre al sito www.paleopatologia.it.
Localizzazione del sito
La chiesa di San Pietro di Pozzeveri si trova nell’omonima località del comune di Altopascio (LU). Già abbaziale del monastero camaldolese di San Pietro, la chiesa ed il campanile rappresentano gli unici edifici superstiti dell’antico cenobio. L’abbazia era posta a brevissima distanza dal tracciato principale della via Francigena che collegava Lucca con Altopascio, e sorgeva su una leggerissima prominenza di circa 20 m s.l.m. che le permetteva di dominare la distesa lacustre e gli acquitrini circostanti il settore nord orientale del lago di Sesto.
La vicenda storica ricostruita dalle fonti scritte
La prima menzione della località di Pozzeverisi ha nell’anno 952, quando Uberto, marchese di Tuscia e figlio di Ugo di Provenza, concede a Teudimondo Fraolmi “quinque casis set rebus illis massariciis in loco et finibus ubi dicitur Pozeuli”, condotte dai massari Flaiperto, Urso, Pietro, Teuzio e Cerbonio (AAL, ++D.39). Nel 1039 la località è nuovamente nominata nelle carte lucchesi (AAL, ++D. 38) come un borgo che comprende due edifici ecclesiastici: la chiesa di Santo Stefano “que esse videtur in Burgo de Puctieuli”, e la chiesa di San Pietro “prope suprascripto burgo de Puctieuli”. Successivamente al 1044 il borgo di Pozzeveri e la chiesa di Santo Stefano non saranno più nominate nelle carte arcivescovili, mentre la chiesa di San Pietro, a partire dal 1056, diventa la sede di una comunità di sacerdoti. La nuova canonica, creata seguendo i dettami della riforma della chiesa che in quegli anni trovava nei vescovi lucchesi e nella città di Lucca particolare vigore, è la terza ad essere istituita nella diocesi lucchese dopo la canonica di Santa Maria a Monte (1025) e la canonica della cattedrale di San Martino (1048). Già nel 1086 i documenti ci parlano di “ecclesia et monasterium beati sancti Petri apostoli qui est consctructus in loco ubi dicitur Potieule” (RCL 1/488, p. 205), ed il riconoscimento della trasformazione della canonica in monastero è sancita nel privilegio del pontefice Urbano II del 1 febbraio 1095, con il quale è stabilito pure il diritto di libera sepoltura. A partire dal 1103 fa la sua comparsa un abbas come rettore del monastero (ACL perg. R 34), mentre fino ad allora si era sempre trattato di un rector o di un prior; è probabile che questo cambiamento di titolatura coincida con l’ingresso a Pozzeveri dei Camaldolesi di San Romualdo. Nello stesso anno si ha notizia di un ospedale annesso al monastero e retto da un certo Morando (RCL I/625, p. 261), che sottolinea il rapporto strettissimo dell’istituzione monastica con la viabilità francigena. L’abbazia, riccamente dotata dai nobili porcaresi, suoi giuspatroni, riceve ulteriori donazioni nel corso del XII e XIII secolo ampliando il proprio patrimonio immobiliare. Tra le attività economiche più redditizie dell’ente, insieme ai proventi delle coltivazioni di numerosi appezzamenti di terra situati nella lucchesia orientale, hanno un posto di particolare rilievo le attività molitorie condotte in cinque opifici installati sulla Pescia Minore, a cui vanno aggiunti l’allevamento del bestiame e lo sfruttamento della porzione nord orientale del padule e del lago di Sesto. Dal Libellus extimi lucane diocesis del 1260 l’abbazia di Pozzeveri viene stimata lire 2800 e si colloca, per il patrimonio, fra le istituzioni religiose più ricche della diocesi. Il XIV secolo vede l’area dell’abbazia al centro delle vicende belliche toscane con conseguente danneggiamento del suo territorio e degrado dell’istituzione, che comincia allora la propria decadenza. Nel settembre del 1325 l’abbazia è occupata, insieme ai terreni circostanti, dagli accampamenti dell’esercito fiorentino guidato da Ramondo di Cardona, ed il 22 settembre proprio tra la Badia e Altopascio si svolgono le operazioni militari della celebre battaglia che vide il trionfo di Castruccio. L’abbazia è abbandonata per alcuni decenni dalla comunità di monaci a causa delle guerre continue con Firenze; le rendite sono limitate dalle distruzioni e dai saccheggi che causano lo spopolamento delle terre del monastero. La comunità di monaci si è ormai stabilita a Lucca, nella casa dell’ Abbazia fuori porta San Gervasio. L’ultimo abate, Agostino, resse l’istituzione camaldolese dal 1388 al 1408, ma rimasto senza monaci sembra operare come un qualsiasi abate commendatario fino alla soppressione definitiva dell’ente che, con bolla pontificia del 3 luglio 1408, è unito da papa Gregorio XII al capitolo della cattedrale lucchese (ACL, bolla CC.36). Nel corso dell’età moderna la chiesa abbaziale di san Pietro divenne la parrocchiale dell’insediamento sparso di Pozzeveri, distribuito tra il rio Tazzera e la fossa navareccia di Altopascio, delimitato a nord dalla via Francigena ed a sud dalle paludi del lago di Sesto.
Le emergenze monumentali e le tracce sepolte
Dell’abbazia medievale si conservano in elevato le strutture della torre campanaria, fino al terzo superiore, e della chiesa (abside, transetto e porzioni dei fianchi, Figura 2).
La chiesa e la torre campanaria hanno subito, nel corso del XIX secolo, cospicui interventi di ristrutturazione che ne hanno alterato l’originaria veste romanica, tuttavia, sia la pianta della chiesa, ad unica navata con transetto, che la struttura della porzione inferiore della torre, così come il paramento della tribuna e del transetto della chiesa, risultano ben leggibili. L’abside romanica – realizzata nella porzione inferiore in conci squadrati di verrucano, rifilati a nastrino e spianati a subbia – risulta paragonabile agli esempi migliori del romanico lucchese di XII secolo, e trova i confronti più immediati in alcune fabbriche cittadine quali il San Giusto ed il San Frediano. Il transetto è costruito con una tecnica mista che prevede l’impiego di conci squadrati in verrucano, nei cantonali, e di bozzette di arenaria per i paramenti. La base della torre campanaria, edificata in pietre tagliate e approssimativamente rifilate, murate in corsi irregolari con abbondante impiego di legante, risale probabilmente all’XI secolo, epoca della prima Canonica di Pozzeveri; trova infatti qualche confronto in territorio lucchese con il campanile del San Cassiano di Controni e della Pieve di San Macario. I resti dell’abbazia medievale (refettorio, capitolo, chiostro, ambienti abitativi del monastero) sono completamente sepolti. Dalla presenza comunque di un pozzo, collocato a sud della chiesa e compreso probabilmente nel chiostro del monastero, si può evincere come le strutture abbaziali si sviluppassero a sud dell’edificio sacro. L’area adiacente al fianco nord doveva essere in gran parte adibita a spazio cimiteriale. Infine un muro di cinta cingeva gli spazi monastici. All’esterno dell’abbazia sorgevano probabilmente alcuni nuclei abitati, più volte ricordati nella documentazione scritta, formati da edifici in materiale deperibile e/o in muratura che non hanno lasciato in vista alcuna traccia apprezzabile.
Gli obiettivi generali della ricerca
Gli scopi della ricerca sul sito di Badia Pozzeveri sono riassumibili nei seguenti punti programmatici che coinvolgono in modo spiccatamente multidisciplinare lo studio delle testimonianze sepolte dell’abbazia ed i reperti di natura biologica relativi all’intenso uso cimiteriale del sito:
- Ricostruzione dell’evoluzione dell’insediamento dalla prima occupazione dell’area alle vicende postmedievali.
- Analisi della cultura materiale di un centro monastico collocato lungo la Francigena (scambi di saperi tecnici, flussi commerciali, attività economiche legate alla vita monastica ed all’ambiente del lago di Sesto).
- Scavo e studio dell’area cimiteriale circostante gli edifici abbaziali (demografia, tipologie sepolcrali, ritualità funeraria).
- Analisi antropologica e paleopatologica degli inumati afferenti alla Badia di Pozzeveri.
Risultati dell’indagine archeologica nelle diverse aree di scavo (campagna 2015)
Area 2000
L’area 2000, di forma rettangolare, è collocata a nord della chiesa di San Pietro a Badia Pozzeveri. Già unita, nel corso della campagna 2014, al settore occidentale dell’area 1000, e suddivisa da est a ovest in tre settori differenti (settore C, il più occidentale; settore A, il centrale; settore B l’orientale, Figura 3), ha una superficie totale di 100 m2. Lo scavo ha permesso di esplorare, documentare ed acquisire ulteriori dati sulle inumazioni dell’ultima fase sepolcrale (XVIII-XIX secolo) afferente al cimitero parrocchiale di Badia Pozzeveri, ma anche di evidenziare in estensione lo sviluppo del cimitero medievale a nord della chiesa tra XI-XIII secolo.
Sono state esplorate 15 sepolture della tarda età moderna/contemporanea, prevalentemente collocate nel settore occidentale (settore C) e centrale (settore A). Le inumazioni sono realizzate in fosse di forma rettangolare, con orientamenti variabili, nord-sud, ovest-est ma anche est-ovest e sud-nord. I defunti presentano caratteristiche tafonomiche che testimoniano il seppellimento avvenuto in spazio vuoto, ma vi sono pure numerosi esempi di individui seppelliti affrettatamente in piena terra. Numerose sono inoltre le buche-ossario e le riduzioni connesse con questa fase cimiteriale. Molte si tagliano a vicenda e denunciano lo sfruttamento intensivo dell’area cimiteriale tra ‘700 e ‘800. La loro datazione è fornita da alcune medagliette devozionali associate agli inumati, le più antiche delle quali sono ascrivibili alla seconda metà del XVIII secolo, mentre le più recenti alla prima metà/metà del XIX secolo. Nel settore centrale (settore A) ed in quello orientale (settore B) sono state documentate almeno 19 sepolture d’età medievale. Si tratta di inumazioni in fossa terragna di forma ellittica, ed in piena terra, con orientamento ovest-est, distribuite in modo piuttosto regolare, su file leggermente sfalsate.
La conservazione delle ossa, non sempre ottimale, permette comunque di apprezzare la posizione in decubito dorsale degli inumati e il loro orientamento. La datazione è fornita su basi stratigrafiche, ed in relazione al fatto che alcune strutture murarie (US 2106 e 2358), già evidenziate e documentate nelle campagne di scavo precedenti e databili al XIII-XIV secolo, investono con la loro costruzione alcune di queste inumazioni (Figura 4). A ridosso della torre campanaria, che in base alla tecnica muraria ed ai rapporti stratigrafici intrattenuti con le altre strutture, può essere attribuita alla seconda metà dell’XI secolo, è stata individuata una sepoltura entro fossa ellittica, con orientamento ovest-est, tagliata dalle fondazioni stesse della torre (Figura 5). Si tratta della prova dello sfruttamento cimiteriale dell’area per lo meno a partire dalla prima metà/metà dell’XI secolo, epoca a cui risalgono le prime attestazioni della chiesa di San Pietro (anni 1039, 1044 e 1056).
Area 3000
L’area 3000 è collocata ad ovest dell’attuale chiesa di San Pietro di Pozzeveri (Figura 6). Nel corso della campagna di scavo 2015 l’attenzione è stata rivolta all’approfondimento dei livelli cimiteriali post-medievali (dal XVI secolo fino al XVIII secolo) concentratisi all’interno del Settore B, delimitato dalle fondazioni della porzione occidentale dell’abbaziale camaldolese (XII-XV secolo), la quale aveva uno sviluppo verso occidente di circa 10 metri superiore all’edificio moderno. Lo scavo ha messo in evidenza un utilizzo intensivo dello spazio a disposizione all’interno del vecchio edificio di XII secolo nel corso dell’età moderna, con numerose sepolture che si intercettano e si sovrappongono vicendevolmente, sia orizzontalmente che verticalmente, creando un quadro stratigrafico piuttosto intricato.
Dallo scavo delle sepolture è possibile ricavare comunque l’immagine per il XVII-XVIII secolo di una tipologia tombale che prevedeva l’inumazione all’interno di casse lignee (lo testimoniano le caratteristiche tafonomiche delle deposizioni ed il rinvenimento frequente di chiodi allineati). Le sepolture rinvenute in prossimità della facciata attuale hanno in genere orientamento est-ovest od ovest-est, mentre nella porzione centrale ed occidentale del settore B si dispongono in prevalenza con allineamento nord-sud o sud-nord. La ricerca di una razionalizzazione nello sfruttamento dello spazio sepolcrale è in parte inficiata dalla frequenza con cui dovevano avvenire le tumulazioni, le quali andavano a scalfire le inumazioni più antiche. In totale sono state documentate ed esplorate trenta sepolture. Fenomeni di riduzione ed anche buche ossario sono frequenti proprio a causa dell’uso cimiteriale intensivo dell’area. Nella porzione centrale del settore sono stati rinvenuti i resti di una fossa usata come fornace per la gettata di una campana. Tale fossa, a sezione campaniforme, con diametro alla base di circa 115 cm e conservata in altezza per circa 60 cm, è tagliata a sud dallo scavo di una grossa trincea del XIX secolo e rasata orizzontalmente durante i lavori di sistemazione del piazzale nel corso del XX secolo. Sul fondo è presente l’impronta circolare dello stampo della campana, che mostra un diametro massimo di 60cm. Le pareti e il fondo sono arrossate e cotte dall’azione del fuoco. Il riempimento era costituito sia da terreno limo argilloso contenente gocce di bronzo (residui del processo di gettata del metallo), che da carboni, frammenti di laterizi e argilla cotta (probabilmente parti dello stampo). La fossa-struttura appare in effetti funzionale sia alla cottura dello stampo che al processo di gettata del bronzo secondo quanto descritto nel celebre trattato del Biringuccio (Neri 2004, p. 74. Cfr. Biringuccio 3). Al di sotto del basamento circolare su cui poggiava lo stampo, un canaletto largo circa 30 cm, riempito di carboni, aveva la funzione di alimentare il calore durante il processo di cottura dello stampo e di mantenere un ambiente sufficientemente caldo durante il processo di gettata del bronzo. La fossa della fornace per campana intercetta una sepoltura probabilmente attribuibile al XVI secolo – una delle più antiche tra quelle appartenenti al cimitero d’età moderna – e risulta a sua volta intercettata dalle sepolture del XVII-XVIII secolo, per cui sembra possibile collocare la sua datazione tra XVI e inizi XVII secolo. Il fatto che insista sull’area cimiteriale non stupisce se si considera come per simili operazioni venissero fin dal medioevo sfruttati gli spazi dei sagrati o addirittura dell’interno degli edifici sacri.
Area 5000
L’area è stata aperta all’inizio della campagna 2014 e copre una superficie di 143 m2 (Figura 7). E’ collocata immediatamente a sud dell’area 3000, ed è delimitata a nord dal perimetrale meridionale della chiesa medievale ed a est/sud-est dalle strutture del chiostro del monastero. Si tratta dell’unica area di scavo che al momento non ha restituito sepolture, e che si è sempre connotata, prima, durante e dopo la vita del monastero, come funzionale ad ospitare ambienti in muratura o strutture in legno.
Sotto i livelli della prima età moderna, indagati nel corso della campagna 2014, che segnano la spoliazione del monastero camaldolese (XV-XVI secolo), sono emerse le tracce di alcune strutture murarie, conservate a livello delle fondazioni, che testimoniano i cambiamenti architettonici di questa porzione del complesso religioso. Nel cercare di collocare le evidenze archeologiche dell’area tra XI e XV secolo, seguiremo un ordine cronologico partendo dalle più antiche.
Le prime tracce, risalenti sulla base dei dati stratigrafici almeno all’XI secolo, e rapportabili quindi al primo insediamento religioso documentato nelle fonti scritte, sono costituite da una struttura muraria, conservata a livello delle fondazioni (USM 5117), con orientamento nord sud situata al centro dell’area. Larga 60/70 cm e conservata per 8 m di lunghezza, è formata da ciottoli di fiume legati con malta. Non sopravvivono piani di calpestio rapportabili alle fasi di vita di questa struttura, che costituiva probabilmente un edificio annesso alla chiesa preromanica, forse facente parte della Canonica di Pozzeveri (1056). Nella prima metà del XII secolo, in seguito all’istituzione del monastero camaldolese, la primitiva chiesa di San Pietro viene ingrandita prolungandone la navata verso ovest di circa 8 m. La struttura USM 5117 non viene demolita, ma viene affiancata, appena 1 m più a ovest, da un setto murario (di cui resta solo la fossa di spoliazione) che delimita così un corridoio indirizzato verso la parte occidentale della chiesa.
A est della struttura muraria sono posizionati due monoliti in pietra con funzione di basamenti per montanti lignei a sostegno della copertura di un vasto ambiente, esteso almeno 8 x 6 m, compreso tra USM 5117 e la struttura USM 5049, collocata lungo il limite orientale dell’area. A occidente del “corridoio” sono stati documentati i resti di una pavimentazione (US 5186, US 5187 e US 5199) in battuto rinforzato da malta stesa irregolarmente e mista a frammenti di laterizi, che appare databile al XII-XIII secolo, essendo in parte obliterata da depositi con materiale della fine del XIII-inizi del XIV secolo. Nel settore meridionale dell’area sono state individuate tracce di attività fusoria per la gettata di una campana databili, sulla base della ceramica rinvenuta nel riempimento, all’XI-XII secolo. Si tratta di una fossa circolare (US -5245), profonda circa 50 cm e con diametro di 70 cm, le cui pareti sono state cotte dall’elevata temperatura; il fondo presenta un ulteriore taglio a forma di croce (US -5247), anch’esso concotto (Figura 8). Alla fossa è collegato un largo canale di alimentazione (50 cm di larghezza) che prolunga la fossa stessa verso nord andando progressivamente a salire. La struttura della fornace richiama il modello di fusione descritta da Teofilo e conosciuta da diversi esempi archeologici della Toscana nord-occidentale (Neri 2004, p. 74).
Alcuni strati di deposito argilloso obliterano le evidenze precedenti, alternati a diversi strati a matrice mista, caratterizzati dalla presenza consistente di frammenti litici di piccole dimensioni e laterizi in disfacimento. Tra XIV e XV secolo tutta la superficie dell’area è stata interessata da numerose buche (circa venti) di forma circolare e dimensione variabile. Quattro di queste buche (UUSS -5077, -5080, -5086 e -5082), poste nella porzione nord dell’area, presentano una morfologia simile e una disposizione che le pone sullo steso piano cronologico e funzionale. Presentano tutte forma circolare, sono dotate di un secondo taglio circolare sul fondo e hanno un diametro che si aggira tra gli 80 e i 90 cm. Delimitano un’area rettangolare di circa 5 x 6 m. Si tratta della traccia di una struttura lignea, una grande capanna, che occupava l’area in epoca immediatamente successiva ai crolli delle strutture (XV secolo) e prima delle grandi spoliazioni del XVI secolo.
Area 6000
L’area 6000 è collocata immediatamente ad ovest dell’area 3000, ed occupa parte del sagrato della chiesa abbaziale camaldolese di San Pietro di Pozzeveri. L’indagine è stata pianificata durante le ultime fasi della campagna di scavo dell’anno 2014 ed è di fatto iniziata durante i lavori nei mesi di luglio ed agosto 2015. I limiti di scavo descrivono un perimetro di 5,50 mt x 12,20 mt, per una superficie totale di c.a. 67 mq. Dopo la rimozione dell’asfalto, ad una profondità di appena 30 cm, nella porzione meridionale dell’area, sono state individuate le creste di rasatura di due strutture murarie preservate a livello di fondazioni (USM 6004 e 6005), realizzate in bozzette di calcare bianco e legate da malta poco tenace, larghe circa 90 cm, che percorrono con orientamento est-ovest tutta l’area. La struttura più recente (USM 6005) ha intercettato e parzialmente tagliato la cresta di rasatura dell’altra (USM 6004). Entrambe intrattengono un rapporto stratigrafico diretto col cantonale sud della chiesa abbaziale della prima metà del XII secolo, e risultano rispettivamente anteriore (USM 6004) e posteriore (USM 6005) all’edificio sacro. Al centro dell’area, sempre con orientamento est-ovest, una larga trincea del XIX secolo (US -6007) ha provocato una profonda asportazione del deposito. Si tratta di una fossa di drenaggio che presenta una sezione ad imbuto (in superficie ha una larghezza di 2,5 m per poi restringersi verso il fondo a 70/80 cm). Una volta esposti i margini del grande taglio, è stato possibile individuare in sezione numerose sepolture intercettate a quote diverse dallo scasso. Come scelta strategica l’area è stata allora suddivisa in due settori, A (meridionale) e B (settentrionale) separati dalla fossa di drenaggio. Lo scavo si è quindi concentrato nel settore A e si è rivolo allo scavo dei contesti funerari. Nella porzione nord ovest del settore sono state individuate cinque inumazioni in piena terra che si succedono sovrapponendosi parzialmente fra loro.
Gli individui hanno orientamento ovest-est e sono collocati in decubito dorsale all’interno di fosse molto strette. La loro cronologia è ascrivibile al XIII-XV secolo. Due strutture a cassa litica, realizzate in lastre di calcare e probabilmente risalenti al XII-XIII secolo, sono state individuate nel settore A. La prima, in parte distrutta dalla trincea del XIX secolo, era collocata in prossimità del centro dell’area, quasi in asse con l’ingresso della chiesa abbaziale, in una posizione evidentemente privilegiata. Ne restano parte delle spallette occidentale e meridionale e una pietra di copertura. All’interno sono stati individuati i resti di almeno tre individui in riduzione. La tomba è stata poi parzialmente investita dalla sepoltura in piena terra di un altro individuo con orientamento ovest-est, deposto in piena terra ed in decubito dorsale, databile tra XIII e XIV secolo. L’altra struttura tombale a cassa litica è collocata nella porzione meridionale del settore A. Ha una pianta rettangolare con orientamento ovest-est, ed è costruita in bozze di calcare bianco legate da malta. Al momento del rinvenimento era ancora in situ la copertura costituita da cinque grandi lastre di calcare. All’interno, sotto una serie di livelli contenenti ossa non in connessione, è stato messo in luce un individuo in deposizione primaria, in decubito dorsale e con orientamento ovest-est. Le caratteristiche strutturali e la collocazione topografica permettono di apprezzare il carattere privilegiato della struttura sepolcrale, la cui datazione, ricavabile per il momento solo su base tipologica, sembra relativa alla sistemazione del sagrato nel corso del XII-XIII secolo. Restano da chiarire i rapporti con la struttura muraria 6005 che, se esistente al momento della realizzazione della tomba in cassa litica, avrebbe diviso dal sagrato la sepoltura. In questo caso dovremmo immaginare una sorta di area cimiteriale di XII-XIII secolo, destinata a personaggi di spicco (membri della famiglia monastica? Benefattori laici del monastero?) che godevano di uno spazio cimiteriale distinto a loro riservato. Solo il proseguo delle indagini potrà fornire elementi per chiarire questo aspetto della topografia cimiteriale dell’area.
Riferimenti bibliografici
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Neri E., Tra fonti scritte ed evidenze archeologiche: un modello per interpretare i resti materiali della produzione di campane, in Archeologia Medievale XXXI, 2004, pp. 53-98.