*Articolo estratto dalla rivista:
“Matematica, cultura e società 2006” a cura di Ilaria Gabbani, edita dal Centro di Ricerca Matematica Ennio De Giorgi, Edizioni della Normale, Pisa 2007.
La paleopatologia, definita da Sir Armand Ruffer – uno dei fondatori della disciplina – “lo studio delle malattie nei resti umani antichi”, è diventata in questi ultimi anni una vera e propria branca autonoma della medicina, comprendente storia, archeologia, antropologia ed anatomia patologica1. Essa studia le malattie direttamente nei corpi umani del passato, scheletrizzati o mummificati; pertanto si avvale di un tipo di approccio completamente diverso dalla storia della medicina, che predilige la storia dei medici e delle terapie, e studia anche le malattie del passato, basandosi però esclusivamente sulle fonti storico-letterarie. La paleopatologia riveste un duplice interesse: antropologico e medico; antropologico, perchè dalle caratteristiche e dall’incidenza delle diverse malattie del passato è possibile risalire, indirettamente, alle abitudini e allo stile di vita delle antiche popolazioni; medico, perchè lo studio dell’origine di alcune importanti malattie dell’epoca attuale, come il cancro e l’arteriosclerosi, e la ricostruzione delle origini e delle prime vie di diffusione delle malattie infettive, non può non suscitare un forte interesse nel campo della medicina 2. Lo studio delle malattie del passato è progredito enormemente in questi ultimi 30 anni, di pari passo con la medicina attuale, grazie soprattutto alle nuove tecnologie biomediche. Infatti l’applicazione degli anticorpi (immunoistochimica) allo studio dei tessuti antichi ha permesso diagnosi più esatte, mentre nuove tecniche radiologiche, come la tomografia assiale computerizzata (TAC), hanno reso possibile lo studio delle mummie senza metodi invasivi. Infine, lo studio del DNA antico (aDNA) sta rivoluzionando la paleogenetica e le nostre conoscenze sulle malattie infettive del passato. |
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Due sono, come è noto, i rami principali dell’albero genealogico della famiglia: quello di Lorenzo il Magnifico (1446-1492) e quello dei Granduchi di Toscana, da Giovanni delle Bande Nere (1498-1526) all’ultimo Granduca Gian Gastone (1671-1737). Proprio questa seconda serie, molto meno indagata dagli antropologi del passato, costituisce l’obbiettivo del “Progetto Medici”3.
La cripta funeraria rivelò la presenza di un grande sarcofago, posto su una panchina di pietra davanti alla scala, da identificarsi evidentemente con quello del Granduca, e di alcune bare lignee, completamente sfasciate, sul pavimento, coperto dal solito strato di fango alluvionale. La deposizione funeraria risultò intatta: il Granduca portava ancora la corona (Fig. 6) e indossava la cappa magna di Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di S. Stefano, mentre, ai lati della testa, giacevano due grandi medaglioni d’oro e un crocefisso d’argento, in corrispondenza del torace; ai piedi era stato deposto un grande tubo di piombo, evidentemente con all’interno un documento in suo onore. Al diritto dei medaglioni, capolavori di Luigi Siries, incisore granducale della prima metà del XVIII secolo, compare un tempio in rovina con due donne, rappresentanti le arti e le scienze, che piangono la morte del Granduca, e la iscrizione in latino “AMPLIATORI ARTIUM” (al protettore delle Arti). Al rovescio è raffigurato un monumento con il busto del Principe e la Speranza che depone un’ancora vicino ad un’urna funeraria, con l’iscrizione in latino “IO(HANNIS) GASTO(NIS) I ETR(URIAE) MAG(NUS) DUX VII” (Gian Gastone I, VII Granduca di Toscana) (Fig. 8)6.
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Cosimo I (1519-1574) [MED6]7, fondatore della dinastia granducale (Figura 6), è apparso un individuo vigoroso, con un’età antropologica di 50-60 anni, una statura di m 1,78, cranio medio e naso stretto8. Le forti inserzioni muscolari degli arti (deltoide, gran pettorale, gran dorsale, bicipite, muscoli dell’avambraccio, muscoli della coscia) depongono per un uomo molto robusto9. I marcatori ossei e funzionali dei cavalieri, cioè le modificazioni dello scheletro dovute alla pratica continua dell’equitazione (artrosi lombo-sacrale; esostosi ed ovalizzazione delle cavità acetabolari; ipertrofia del retto del femore; forte ipertrofia del bicipite del femore, del grande adduttore, del piccolo gluteo, della tuberosità glutea, del pettineo, del vasto laterale e del gastrocnemio; osteofitosi della fovea e della testa del femore nella fossa trocanterica; rotazione e schiacciamento del piccolo trocantere; ipertrofia del soleo molto marcata) 10, sono risultati tutti presenti. La presenza di diverse ernie vertebrali di Schmorl, causate da sovraccarichi ponderali sostenuti nel periodo dell’adolescenza, rivela che il giovane Cosimo si allenò a fondo con le pesanti armature dell’epoca11. La storia clinica di Cosimo I è stata ricavata da un archivio estremamente ricco di dati, comprendente le relazioni degli ambasciatori e dei medici di corte. A parte alcune malattie minori, come vaiolo, febbri malariche a 24 e 25 anni, “renella” e “febbri catarrali”, il quadro dominante dopo i 50 anni è quello di una grave arteriosclerosi precoce, con paralisi del braccio sinistro, emiparesi destra, instabilità psichica, incontinenza urinaria e, infine, afasia e agrafia (perdita della capacità di parlare e di scrivere). Viene inoltre segnalata una malattia articolare acuta ricorrente, una sorta di artrite, genericamente denominata dai medici di corte come “gotta”.
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La granduchessa Eleonora di Toledo (1522-1562) [MED5] (Figura 9), figlia del viceré di Napoli e sposa di Cosimo I, è apparsa una donna con un’età antropologica di 36-46 anni, alta m 1,58, con cranio medio-basso, orbite alte e faccia e naso stretti16. Le inserzioni muscolari (deltoide, gran dorsale, flessori e supinatore dell’avambraccio, muscoli della coscia, soleo della gamba destra) depongono per un’attività muscolare più che buona e, probabilmente, per una discreta pratica dell’equitazione17.
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Lo scheletro del cardinale Giovanni (1543-1562) [MED3], secondo figlio di Cosimo I e di Eleonora, è risultato quello di un giovane con un’età antropologica di 19 anni ed una statura di m 1,75. Lo scheletro di don Garzia (1547-1562) [MED4], settimo figlio di Cosimo I and Eleonora, anche lui deceduto per malaria perniciosa come la madre e il fratello Giovanni24, appartiene ad un adolescente di 15-16 anni , alto m 1,67.
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Il Granduca Francesco I (1541-1587) [MED11] (Figura 10), figlio primogenito di Cosimo, è apparso, allo studio antropologico, un uomo longilineo ma vigoroso, con un’età antropologica di 40-50 anni, una statura di m 1,74, cranio medio e naso stretto25. Infatti le inserzioni muscolari del deltoide, del gran pettorale, del gran dorsale, del bicipite e dei muscoli dell’avambraccio risultano tutte assai pronunciate26. I marcatori scheletrici dei cavalieri (artrosi lombo-sacrale; esostosi ed ovalizzazione delle cavità acetabolari; ipertrofia del retto del femore; forte ipertrofia del bicipite del femore, del grande adduttore, del piccolo gluteo, della tuberosità glutea, del pettineo, del vasto laterale e del gastrocnemio; osteofitosi della fovea e della testa del femore nella fossa trocanterica) 27 sono, come nel padre, quasi tutti presenti.
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Giovanna d’Austria (1547-1578) [MED8], figlia dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo e prima moglie di Francesco I, viene descritta dalle cronache dell& Articoli correlati |