Gino Fornaciari, Angelica Vitiello, Valentina Giuffra, Sara Giusiani, Antonio Fornaciari
Divisione di Paleopatologia
Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina
Università di Pisa – Scuola Medica, Via Roma 57, 56126 Pisa

La paleopatologia, definita da Sir Armand Ruffer, uno dei fondatori della disciplina, “lo studio delle malattie nei resti umani antichi”, è diventata in questi ultimi anni una vera e propria branca autonoma della medicina, comprendente storia, archeologia, antropologia ed anatomia patologica. Essa studia le malattie direttamente nei corpi umani del passato, scheletrizzati o mummificati; pertanto si avvale di un tipo di approccio completamente diverso dalla storia della medicina, che predilige la storia dei medici e delle terapie, e studia anche le malattie del passato, basandosi però esclusivamente sulle fonti storico-letterarie.
La  paleopatologia riveste un duplice interesse: antropologico e medico; antropologico, perchè dalle caratteristiche e dall’incidenza delle diverse malattie del passato è possibile risalire, indirettamente, alle abitudini e allo stile di vita delle antiche popolazioni; medico, perchè lo studio dell’origine di alcune importanti malattie dell’epoca attuale, come il cancro e l’arteriosclerosi, e la ricostruzione delle origini e delle prime vie di diffusione delle malattie infettive, non possono non suscitare un forte interesse nel campo della medicina.
Lo studio delle malattie del passato è progredito enormemente in questi ultimi 30 anni, di pari passo con la medicina attuale, grazie soprattutto alle nuove tecnologie biomediche. Infatti l’applicazione degli anticorpi allo studio dei tessuti antichi (immunoistochimica) ha permesso diagnosi più esatte, mentre nuove tecniche radiologiche, come la tomografia assiale computerizzata (TAC), hanno reso possibile lo studio delle mummie senza metodi invasivi. Infine, lo studio del DNA antico (aDNA) sta rivoluzionando la paleogenetica e le nostre conoscenze sulle malattie infettive del passato.
Nel caso del “Progetto Medici” la paleopatologia, con tutte le sue sofisticate tecniche di indagine, sarà applicata allo studio della celebre famiglia fiorentina, i cui esponenti sono sepolti nella cripta della Basilica di S. Lorenzo a Firenze.
Due sono, come è noto, i rami principali dell’albero genealogico della famiglia: quello di Lorenzo il Magnifico (1446-1492) e quello dei Granduchi di Toscana, da Giovanni delle Bande Nere (1498-1526) all’ultimo Granduca Gian Gastone (1671-1737). Proprio questa seconda serie,  molto meno indagata dagli antropologi del passato, costituisce l’obbiettivo del “Progetto Medici”.

Il “Progetto Medici”, sorto da un accordo di collaborazione scientifica fra l’Università di Pisa, l’Università di Firenze e la Soprintendenza per il Polo Museale Fiorentino, condurrà una ricerca archeologica e paleopatologica sulle 49 deposizioni funebri dei Granduchi dei Medici, nelle celebri Cappelle Medicee della Basilica di San Lorenzo a Firenze. Lo studio comprenderà: archeologia funeraria, antropologia, paleonutrizione, parassitologia, anatomia patologica, istologia, istochimica, immunoistochimica, microscopia elettronica, biologia molecolare (studio del DNA antico) e identificazione degli agenti patogeni antichi. Praticamente tutte le tecnologie biomediche più moderne saranno utilizzate per una ricostruzione biologica globale, allo scopo di ottenere più informazioni possibili sull’ambiente, lo stile di vita e le malattie di questi importanti personaggi del Rinascimento italiano.

Per lo studio preliminare dei corpi è stato necessario allestire un vero e proprio laboratorio provvisorio nella vicina “Cappella Lorenese”, la cripta funeraria dei Granduchi di Lorena, che governarono Firenze e la Toscana dopo i Medici, fino al 1859.
Le esplorazioni hanno avuto inizio nel maggio 2004, con l’apertura della tomba di un personaggio minore, Don Garcia (1547-1562),  giovane figlio di Cosimo I, scelta proprio allo scopo di chiarirne le modalità di giacitura, in quanto già indagata nel 1948 dal prof. Gaetano Pieraccini, noto medico e studioso dei Medici di allora.
Rimossa la lastra di marmo con l’epigrafe ci siamo trovati inaspettatamente di fronte ad un enorme lastrone di pietra del peso di alcuni quintali, che è stato sollevato mediante un paranco. Comparve allora un loculo pavimentale in muratura con il fondo coperto da uno spesso strato di fango essiccato, testimone della grande alluvione di Firenze del 1966, ed una cassetta metallica con i resti scheletrici di Don Garcia, ancora avvolti in un telo di lino e in eccellente stato di conservazione.

Decidemmo quindi di esplorare una tomba intatta e la scelta cadde, per motivi pratici, su quella di Gian Gastone (1671-1737), l’ultimo Granduca dei Medici; infatti si trattava di una sepoltura posta dietro l’altare delle Cappelle Medicee e quindi piuttosto defilata dal flusso turistico. Si verificò subito un imprevisto in quanto, contrariamente alle attese,  sotto la lastra di marmo con l’epigrafe di Gian Gastone non fu rinvenuto alcun loculo. Alla fine, dopo avere rimosso un disco di marmo scuro posto in prossimità del vicino altare e considerato un semplice elemento decorativo del pavimento, comparve un’apertura con una scaletta in pietra che dava accesso ad una cripta sconosciuta.
La cripta funeraria rivelò la presenza di un grande sarcofago, posto su una panchina di pietra davanti alla scala,  da identificarsi evidentemente con quello del Granduca, e di alcune bare lignee, completamente sfasciate, sul pavimento, coperto dal solito strato di fango alluvionale.
Il tasso di umidità (80-90%) e la temperatura elevata (30°C) imposero, su indicazione dell’Opificio delle Pietre Dure (il grande Istituto di Restauro di Firenze), la climatizzazione computerizzata dell’ingresso della cripta, che eliminò il rischio di danneggiamento dei sarcofagi e dei corpi a causa dell’ingresso di aria esterna durante il lavoro degli archeologi.
Il sarcofago ligneo del Granduca Gian Gastone, apparentemente ben conservato, risultò molto deteriorato a causa dell’umidità. Al suo interno comparve un altro sarcofago di piombo, con una grande croce cristiana sul coperchio.
La deposizione funeraria risultò intatta: il Granduca portava ancora la corona e indossava la cappa magna di Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di S. Stefano, mentre, ai lati della testa, giacevano due grandi medaglioni d’oro e un crocefisso d’argento in corrispondenza del torace; ai piedi era stato deposto un grande tubo in piombo, evidentemente con all’interno un documento in suo onore.
Al diritto dei medaglioni, capolavori di Louis Siries, incisore granducale della prima metà del XVIII secolo, compare un tempio in rovina con due donne, rappresentanti le arti e le scienze, che piangono la morte del Granduca, e la iscrizione in latino “AMPLIATORI  ARTIUM” (al protettore delle Arti). Al rovescio è raffigurato un monumento con il busto del Principe e la Speranza che depone un’ancora vicino ad un’urna funeraria, con l’iscrizione in latino “IO(HANNIS) GASTO(NIS) I ETR(URIAE)  MAG(NUS) DUX VII” (Gian Gastone I, VII Granduca di Toscana).

In corrispondenza del pavimento, o variamente distribuiti sulla panchina, furono rinvenuti diversi sarcofagi infantili, assai danneggiati dall’alluvione del 1966. L’accurata mappatura dei resti di otto bambini, di età compresa fra la nascita e i cinque anni permise, con il ritrovamento di parti dello stesso individuo in posizioni differenti e distanti fra loro, di avere un’idea degli spostamenti subiti dai sarcofagi e dai corpi nel corso dell’inondazione.
Contro ogni aspettativa, alcune deposizioni infantili apparvero ben conservate. Un bambino di cinque anni conservava ancora le vesti, le scarpe e una corona di argento in eccellenti condizioni di conservazione. La veste, comprendente una giubba di seta rossa con decorazioni floreali e galloni in argento, con colletto basso e bottoni, e pantaloni larghi, al ginocchio, dello stesso tessuto, è risultata incredibilmente  simile a quella di Don Filippino (1577-1582), giovane figlio del Granduca Francesco I, deceduto proprio a 5 anni di età. Altre sepolture come, ad esempio, quella di un bambino di circa nove mesi, avvolto in una preziosa veste di seta con polsini in filo di argento, sono apparse meno ben conservate. L’identificazione definitiva degli otto individui ritrovati, fra lattanti e bambini – evidentemente principi medicei deceduti in tenera età – richiederà l’utilizzo di tecnologie sofisticate, basate sul DNA antico.

Riferiamo ora i primi risultati dello studio paleopatologico.

Cosimo I (1519-1574), fondatore della dinastia granducale, è apparso un individuo vigoroso,  con  un’età  antropologica  di 50-60 anni, una statura  di  m 1,78, cranio  medio  e naso  stretto. Le forti inserzioni muscolari degli arti depongono per un uomo molto robusto. I marcatori ossei e funzionali dei cavalieri, cioè le modificazioni dello scheletro dovute alla pratica continua dell’equitazione, sono risultati tutti presenti. La presenza di diverse ernie vertebrali di Schmorl, causate da sovraccarichi ponderali sostenuti nel periodo dell’adolescenza, rivela che il giovane Cosimo si allenò a fondo con le pesanti armature dell’epoca.
La storia clinica di Cosimo I è stata ricavata da un archivio estremamente ricco di dati, comprendente le relazioni degli ambasciatori e dei medici di corte. A parte alcune malattie minori, come vaiolo, febbri malariche a 24 e 25 anni, “renella” e “febbri catarrali”, il quadro dominante dopo i 50 anni è quello di una grave arteriosclerosi precoce, con paralisi del braccio sinistro, emiparesi destra, instabilità psichica, incontinenza urinaria e, infine, afasia e agrafia (perdita della capacità di parlare e di scrivere). Viene inoltre segnalata una malattia articolare acuta ricorrente, una sorta di artrite, genericamente denominata dai medici di corte  come “gotta”.
Il decesso avvenne a 55 anni, in seguito ad una “febbre catarrale”, probabilmente una broncopolmonite.
Lo studio paleopatologico rivela che Cosimo I era affetto da artrosi diffusa, sia vertebrale che extravertebrale, con tutta probabilità secondaria alla sua intensa attività fisica.
La calcificazione e la fusione del legamento vertebrale anteriore di destra e le calcificazioni diffuse dei ligamenti articolari dimostrano in modo inequivocabile che il Granduca non era affetto da gotta, di cui mancano totalmente i segni articolari, ma da DISH  (dall’acronimo inglese di “iperostosi idiopatica scheletrica diffusa”), una malattia articolare dall’incerta eziologia e legata al diabete e all’obesità.
Un chirurgo di  corte piuttosto maldestro, per procedere all’autopsia e all’imbalsamazione del corpo, tentò ben due volte, senza successo, di segare il cranio a livello del parietale destro; solo al terzo tentativo riuscì ad ottenere un taglio orizzontale piuttosto grossolano. Il cranio fu infine aperto facendo leva con uno scalpello e danneggiando seriamente la teca cranica in tre punti.
Nel caso dei Medici, e anche di Cosimo, è stato adottato un nuovo tipo di studio fisiognomico, messo a punto da Franco Rollo dell’Università di Camerino, che collabora al Progetto Medici. Tramite una scansione laser tridimensionale del cranio, seguita da sovrapposizione cranio-facciale sui ritratti dell’epoca, è possibile effettuare un confronto diretto fra l’aspetto “reale” dell’individuo e le raffigurazioni artistiche, e rilevare eventuali “aggiustamenti” ai canoni rinascimentali di bellezza.

La granduchessa Eleonora di Toledo (1522-1562), figlia del viceré di Napoli e sposa di Cosimo I, è apparsa una donna con un’età antropologica di 36-46 anni, alta m 1,58, con cranio medio-basso, orbite alte e faccia e naso stretti. Le inserzioni muscolari depongono per un’attività muscolare più che buona e, probabilmente, per una discreta pratica dell’equitazione.
La storia clinica di Eleonora di Toledo è dominata dal gran numero di parti. Infatti, da 18 a 32 anni, dette alla luce ben 11 bambini. Probabilmente proprio per questo motivo, si ammalò a 29 anni di tubercolosi polmonare, malattia che, insieme ad un attacco di malaria perniciosa, doveva condurla a morte all’età di 40 anni. Un famoso ritratto del Bronzino la raffigura proprio a questa età, ormai emaciata e sofferente.
Lo studio paleopatologico rivela che Eleonora, durante l’infanzia, fu affetta da una lieve forma di rachitismo – evidentemente il sole di Napoli non raggiungeva le stanze del palazzo del vicerè! – come dimostra la leggera curvatura delle tibie. In altri termini aveva le gambe leggermente “storte”.
Presenta inoltre, a livello del bacino, i segni scheletrici dei numerosi parti sostenuti.
Al momento del decesso Eleonora di Toledo era affetta da una grave patologia dentaria, con numerose carie destruenti, evidentemente in conseguenza delle numerose gravidanze.
Eleonora soffriva inoltre di una leggera artrosi della colonna e delle grandi articolazioni.

Il Granduca Francesco I (1541-1587), figlio primogenito di Cosimo, è apparso uomo longilineo ma vigoroso, con un’età antropologica di 40-50 anni, una statura di m 1,74, cranio medio e naso stretto. Infatti le inserzioni muscolari del deltoide, del gran pettorale, del gran dorsale, del bicipite e dei muscoli dell’avambraccio risultano tutte assai pronunciate. I marcatori scheletrici dei cavalieri sono, come nel padre, quasi tutti presenti.
Questi nuovi dati antropologici ribaltano totalmente lo stereotipo tradizionale di un principe intellettuale e sedentario, il cosiddetto “principe dello studiolo” secondo la definizione di Luciano Berti, completamente dedito ai propri studi. Al contrario, Francesco risulta un uomo fisicamente molto attivo.
Anche la storia clinica di Francesco I è ben nota dai documenti di archivio. A parte alcune malattie meno gravi, come una bronchite a venti anni e una polmonite a trentotto anni, Francesco I, dai trentacinque anni in poi, diventò piuttosto obeso e soffrì ripetutamente di “renella”, con coliche; morì a 46 anni, verosimilmente in seguito ad un attacco di malaria perniciosa.
Egli ebbe una vera e propria passione per gli studi alchemici, che praticò anche con un discreto successo. Riuscì infatti a fondere il cristallo di rocca e a produrre, nella fornace annessa al laboratorio alchemico di Palazzo Pitti, la cosiddetta “porcellana medicea”. Come alchimista passava gran parte del suo tempo in laboratorio e fu certamente esposto ad intossicazioni croniche che lo studio tossicologico, attualmente in corso, potrà forse documentare.
Le “voci” del suo assassinio tramite veleno – insieme alla moglie, la  Granduchessa Bianca Capello – da parte del fratello Ferdinando, che gli successe sul trono, sono da ritenere quasi certamente false.
Lo studio paleopatologico rivela che Francesco I era affetto da una modesta artrosi vertebrale ed extra-vertebrale; da segnalare anche gli esiti di una frattura del coccige, verosimilmente a seguito di una caduta, forse da cavallo. E’ stata rilevata anche la  sezione del corpo dello sterno, praticata per accedere al torace nel corso dell’autopsia e dell’imbalsamazione.

Giovanna d’Austria (1547-1578), figlia dell’imperatore  Ferdinando I d’Asburgo e prima moglie di Francesco I, viene descritta dalle cronache dell’epoca come una donna molto devota; il dato è stato confermato dal ritrovamento nella cassa di un’antica corona del rosario.
La Granduchessa, come risulta dai ritratti, era una donna poco attraente; alcune fonti contemporanee la descrivono addirittura come “gobba”.
Giovanna superò cinque difficili gravidanze, con parto quasi sempre distocico, e morì a 31 anni durante l’ultimo parto, in seguito a rottura dell’utero.
Riporto integralmente la cronaca del decesso e il risultato dell’esame autoptico dell’epoca, pubblicati dall’ostetrico Resinelli nel 1912:

«…la Ser.ma Gran Duchessa come hebbe desinato, che erano circa diciassette hore, si levò da tavola con certe dogl(i)e, le quali non furono molto grandi, et alle 20 hore et 1/2, gettò gran copia d’acqua… et alle 4 hore in circa, apparve un braccio del putto vivo, et si battezzò, et poco di poi morse. La levatrice todesca, quale Sua Alt. Ser.ma haveva fatta venire dalla Magna con destrezza… cercò di rimettere dentro il braccio per dirizzare il parto… In questo mezzo che fu circa le 5 hore partorì la seconda, il che arrecò gran meraviglia a’ medici, non parendo possibile che potesse passare, essendo di già apparito il putto… alle 23 hore, cercando il cerusico con consenso di Sua Altezza Ser.ma con grandissima diligentia, et senza alcuna violenza, se poteva cavare il putto, prese il braccio, et appena toccollo, lo cavò fuora et cercando se poteva cavare il capo, per esser’alto non lo arrivava così facilmente, onde Sua Altezza Ser.ma non potendo star più a disagio volse si lasciassi stare con dire, che si mancava, et così era perché haveva di già perso il polso sinistro, et l’altro molto fiacco, che a gran fatica si trovava, onde i medici si confermorno più nella loro opinione che non fussi da tentar altro… et che fusse meglio lasciarla vivere quel poco di vita che gli restava, senza più travagliarla; alle 5 hore et mezzo passò all’altra vita.
Il giorno seguente, che fu il Venerdì, si aperse, et si trovò il putto fuora della matrice et il collo della matrice stracciato, cosa che come non più veduta fece maravigliare i medici, et insieme conoscer la cagione perché la seconda era passata. Nel resto del corpo era male disposta, perché 1’haveva la spina giù basso, torta a modo d’un esse maiuscola, il che era cagione che quando partoriva, i parti si gittassero da quella banda, come fece ancora questo, ma con maggiore impeto, poiché stracciò il collo della matrice; haveva il fegato duro bianco senza sangue, lo stomaco sottile come un velo, i polmoni appiccati al petto et infiammati, nel resto stava bene»
(Relatione del parto della Ser.ma Gran Duchessa di Toscana, Strozziane, Ia serie, fil. XXXII).

Giovanna d’Austria è apparsa una donna con un’età antropologica di 25-35 anni, una statura di m 1,57, cranio ed orbite medio-basse, faccia e naso stretti. Le inserzioni muscolari attestano un’attività fisica molto limitata. Da segnalare, anche in questo caso, la sezione del corpo dello sterno per l’autopsia e l’imbalsamazione.
Lo studio paleopatologico evidenzia una vera e propria “collezione” di patologie, per lo più di origine congenita. Giovanna era portatrice di un accentuato prognatismo (proiezione anteriore della mandibola), eredità del famoso “labbro degli Asburgo”. Presentava inoltre una marcata iperostosi della teca cranica, con un ispessimento di ben 1 cm, e un’amelogenesi  imperfetta, cioè una grave malformazione delle corone dentarie, in particolare di quelli anteriori. Da segnalare anche una sublussazione congenita bilaterale delle anche. Il bacino mostra evidenti segni dei numerosi parti difficili, come enormi fosse retro-pubiche e profondi solchi pre-auricolari del sacro.
La deformità più grave consiste però in un’accentuata scoliosi ad “S” della colonna lombare che, unitamente alla vistosa deformità del bacino, spiega bene i parti difficoltosi e, infine, la morte per rottura di utero.

Ho voluto riportare come esempio solo alcuni dei primi, parziali risultati delle esplorazioni di 15 tombe su 49, fra cui quelle di otto bambini. Restano da esplorare altre 39 tombe, per lo più intatte, mentre gli studi di laboratorio sono ancora in corso.
E’ evidente, fin da adesso, che lo studio delle deposizioni funebri dei Granduchi medicei, oltre a risolvere qualche “giallo” storico, accrescerà in maniera straordinaria le conoscenze sullo stile di vita e sulle malattie dei diversi componenti di questa Dinastia, fondamentale per il Rinascimento italiano e mondiale.

Così la Paleopatologia riscriverà la storia!

Bibliografia
Fornaciari G., Brier B., Fornaciari A., Secrets of the Medici, Archaeology 58/4: 36-41, 2005.
Lippi D., Bietti M., The last Medici, Archaeology 58/4: 41, 2005.
Fornaciari G., Vitiello A., Giusiani S., Giuffra V., The "Medici Project": First Results of the Explorations of the Medici Tombs in Florence (16th-18th centuries), Paleopathology Newsletter 133: 15-22, 2006.