Gino Fornaciari

Divisione di Paleopatologia
Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina
Università di Pisa
In casi eccezionali l’archeologia può gettare nuova luce su pazienti, malattie e interventi terapeutici del passato. Mentre gli strumenti chirurgici di epoca greco-romana sono relativamente numerosi ed appaiono assai efficienti dal punto di vista funzionale[1], i resti umani che documentano interventi condotti in maniera “scientifica” sono estremamente rari.
La trapanazione del cranio, un intervento chirurgico relativamente frequente in passato e facilmente diagnosticabile[2], può essere utilizzato per valutare i progressi della chirurgia nelle diverse epoche.
Infatti questo intervento, sviluppatosi probabilmente verso la fine del paleolitico e basato su un misto di empirismo e di pratiche magiche, risulta ampiamente documentato sia nel vecchio che nel nuovo mondo fin dal tardo neolitico dimostrando, fra l’altro, l’antichità dell’approccio chirurgico al trattamento delle malattie[3].
In genere questo tipo di chirurgia si ritrova associato soprattutto con lesioni traumatiche ma, in molti casi, la patologia di base rimane sconosciuta.
Mentre le tecniche di trapanazione preistoriche si basavano prevalentemente sul raschiamento e sul bulinaggio, le più evolute tecniche di trapanazione di età storica erano basate sull’uso di trapani e scalpelli. Ad esempio, il trapano di tipo ippocratico era costituito da un cilindro metallico, munito di corona dentata, che veniva applicato direttamente sulla teca cranica[4]. A questo proposito possiamo citare l’esempio della tomba del cosiddetto “Chirurgo di Bingen” (II secolo d.C.), probabilmente un medico militare di una legione di stanza sul Reno, che ha restituito un intero corredo di strumenti chirurgici estremamente efficaci. Fra gli strumenti del corredo chirurgico è  presente anche un tipico “trapano ippocratico”. Il trapano, del tipo a corona dentata, era munito di arresto e corredato da archetto pieghevole[5].
Come abbiamo già detto, nonostante la ricchezza della letteratura medica, i reperti scheletrici che documentano la trapanazione del cranio nella medicina greco-romana sono rari. Pochi crani trapanati di epoca romana sono noti nelle regioni poste all’interno dei confini dell’impero, mentre ultimamente sono stati pubblicati solo due esemplari provenienti dall’Italia[6]. In tutti questi casi, esclusivamente di adulti, non ci sono segni di lesioni che possano giustificare la chirurgia cranica, ad esclusione dei traumi violenti[7]
Prendiamo ora in esame i due casi piú importanti di trapanazione di epoca greco-romana che ci siano pervenuti: la trapanazione di Pontecagnano presso Salerno (IV secolo a.C.) e quella di Fidene (inizi del II secolo d.C.).


[1] VULPES B., Illustrazione di tutti gli strumenti chirurgici scavati in Ercolano e in Pompei e che ora sono conservati nel Real Museo Borbonico. Compresa in sette memorie lette all’Accademia Ercolanese. Memorie della Reale Accademia Ercolanese di Archeologia 1851; 7:87-167; TABANELLI M., Lo strumentario chirurgico e la sua storia. Forlì, 1958. DE CAROLIS E., Una cassetta con strumenti chirurgici da Ercolano. Le Origini della Chirurgia Italiana. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Edigrafital S.p.A., Teramo, 1993, pp. 59-62. Gazzaniga V., Serarcangeli C., Lo strumentario chirurgico romano del Museo di Storia della Medicina dell’Università di Roma “La Sapienza”. Medicina nei Secoli 1999;11/1:217-229. Jackson R., The Medical Collections of  the British Museum. Medicina nei Secoli 2000; 12/2:329-338.
[2] GERMANA’ F., FORNACIARI G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia. Giardini, Pisa, 1992. FORNACIARI G., NACCARATO G.  La trapanazione del cranio in Italia. Le Origini della Chirurgia Italiana. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Edigrafital S.p.A., Teramo, 1993, pp. 67-79.
[3] GERMANA’ F., FORNACIARI G., op. cit.
[4] Ibidem, pp. 15-19.
[5] KEUNZL E. Medizinische Instrumente aus Sepulcralfunden der roemischen Kaiserzeit. Bonner Jahrbuecher der Rheinischen Landesmuseums 1982; Band 182.
[6] GERMANA’ F., FORNACIARI G., op. cit.; SCATTARELLA V., SUBLIMI SAPONETTI S, CUSCIANNA N, GATTULLI A., A case of skull trephination from late Imperial Rome. Journal of Paleopathology 1996; 8:85-88; CAPASSO L., CAPELLI A., A trephined skull from Central Italy (Alba Fucens, Abruzzo), dated to Roman time (1st-2nd century AD). Proceedings of the XXth European Meeting of the Paleopathology Association, Barcelona 1995; pp.103-106.
[7] Jackson R., Doctors and diseases in the Roman Empire. University of Oklahoma Press, Norman and London, 1988.

La trapanazione di Pontecagnano (IV secolo a.C.)

La tomba 990 della grande necropoli di Pontecagnano, presso Salerno, ha restituito i resti scheletrici di un individuo adulto di sesso maschile, vigoroso, della statura di circa m 1.64, deceduto intorno ai 40-45 anni[1], recante fra l’altro gli esiti di una grave frattura fronto-parietale sinistra, da interpretare verosimilmente come sequela di un combattimento[2].

Il cranio presenta, in corrispondenza della regione parieto-occipitale destra, all’altezza del tratto L1-L2 della sutura lambdoidea, una grande trapanazione quadrangolare di circa 5 cm di lato, con segni macroscopici e radiologici di lunga sopravvivenza. Anteriormente i margini della lesione appaiono netti e levigati artificialmente. Invece la porzione posteriore della rondella ossea, già isolata prima tramite incisione e successivamente a colpi di scalpello, fu lasciata in situ.
L’esame endocranico e radiografico evidenzia il distacco quasi completo della rondella ossea. Anche la TAC e la ricostruzione virtuale endocranica confermano l’uso di un piccolo scalpello passante in cavità[3].
In conclusione, la tecnica di trapanazione, ben studiabile sulla porzione residua, è quella per incisione, seguita dall’uso di un piccolo scalpello con taglio di 3 mm. E’ perciò verosimile anche l’uso del meningophylax, per proteggere le meningi e l’encefalo.
Sulla base di questi reperti, possiamo tentare di ricostruire lo “scenario” chirurgico di Pontecagnano:
appare molto verosimile che l’individuo di Pontecagnano avesse subito una frattura cranica avvallata in corrispondenza della regione occipito-parietale posteriore di destra. Il chirurgo, dopo aver tolto le schegge, delimitò il focolaio di frattura tramite incisione e ne asportò la parte  anteriore a colpi di scalpello. Dopo avere iniziato ad asportare, sempre a colpi di scalpello, anche la porzione posteriore dell’osso fratturato, ebbe un ripensamento e si arrestò. Infatti si era accorto che la rondella non comprimeva l’encefalo ma, anzi, poteva essere utile per proteggerlo. Pertanto si limitò a levigare i bordi della breccia.
L’intervento fu compiuto con una tecnica che non sembra corrispondere nei dettagli, come vedremo, a nessuna di quelle descritte nelle fonti antiche; fu infatti usato uno (o più di uno?) scalpello, ma non si fece uso di trapano per delimitare la zona di osso da asportare.
Il paziente comunque guarì perfettamente e sopravvisse a lungo a questo complesso e rischioso intervento chirurgico.
L’importanza del reperto di Pontecagnano deriva dal fatto che si tratta del primo ritrovamento di un caso di trapanazione cranica di età classica, intervento sinora ben noto solo in base ai testi medici greci.

La trapanazione di Fidene (inizi del II secolo d.C.)

Nel 1995 fu ritrovato, in corrispondenza del sito dell’antica città di Fidene, presso Roma, in una piccola necropoli di una villa rustica datata agli inizi del II secolo d.C., lo scheletro di un bambino di 5-6 anni affetto da idrocefalia e recante una grande trapanazione fronto-parietale destra[4].
Il neurocranio si presenta molto espanso e mostra una trapanazione ellissoide di ben 5,4×4,8 cm, ottenuta con la tecnica dell’abrasione progressiva[5]. L’idrocefalia era più accentuata sul lato destro del cranio, che si presenta chiaramente asimmetrico.
L’esame radiografico conferma un’idrocefalia prevalentemente destra, con notevole diastasi delle suture craniche. La forma ad U del solco residuo suggerisce l’uso di uno strumento chirurgico a taglio smusso, molto verosimilmente uno scalpello od un bulino[6].
Sulla superficie esocranica è visibile un sottile orletto di osso neoformato, che indica una reazione iperostosica avvenuta “intra vitam”, in corrispondenza della linea di incisione del periostio. Anche la superficie endocranica, in prossimità della breccia di trapanazione, presenta evidenti segni di reazione ossea: si tratta di fini cribrosità e di focali erosioni visibili sul tavolato interno, dovute ad una reazione infiammatoria osteolitica dello strato endostale della dura madre.
La cresta frontale interna, in corrispondenza dell’inserzione anteriore della grande falce cerebrale, appare deviata verso sinistra. Inoltre il labbro superiore del seno trasverso di destra, in corrispondenza dell’inserzione del tentorio del cervelletto, appare spinto in basso. Pertanto il solco del seno trasverso ne risulta deformato e fortemente stenotico.
La cresta occipitale interna, l’attacco della falce del cervelletto e la fossa cerebellare inferiore, occupata dagli emisferi cerebellari, appaiono normali.
Questi reperti dimostrano che il bambino era affetto da una lesione sopra-tentoriale occupante spazio e che questo fu il principale motivo dell’aumento di volume dell’emisfero cerebrale destro.
La malattia comunque progredì piuttosto lentamente, in modo da permettere una espansione compensatoria del neurocranio corrispondente[7].
Le cause possibili includono malattie traumatiche, infettive e neoplastiche[8] ma, qualunque sia stata la causa, il bambino di Fidene ci fornisce la più antica prova di un trattamento chirurgico specifico, mirato ad alleviare i sintomi di una lesione espansiva intra-cranica.
Il bambino fu poi sepolto in un cimitero con tombe di gente comune,  pertinente probabilmente una comunità rurale. Ciò  suggerisce che un intervento chirurgico di questo tipo, evidentemente assai complesso e costoso, fu eseguito come ultima risorsa terapeutica per un bambino malato di modeste origini[9]. La particolare abilità tecnica necessaria per intervenire sul sottile cranio infantile, come risulta dagli scritti di Galeno[10], rende plausibile l’ipotesi che il bambino sia stato operato da un esperto chirurgo della vicina Roma. Purtroppo il bambino sopravvisse solo alcune settimane[11].
Questo caso rappresenta una di quelle rare occasioni in cui è stato possibile trarre evidenze dirette sulla
medicina antica dai resti scheletrici di un paziente.
La sua importanza viene ulteriormente accresciuta dalla stretta vicinanza di Fidene alla capitale dell’impero romano, dalla datazione al II secolo, forse il periodo più importante della medicina greco-romana[12], e dal contesto paleopatologico attestante una lesione intra-cranica topograficamente ben definita.

Le fonti letterarie[13]

Nella medicina greco-romana la trapanazione del cranio viene descritta per la prima volta da Ippocrate (460-355 a.C.). Il corpo ippocratico, Celso (prima metà del primo secolo), Eliodoro (seconda metá del primo secolo) e Galeno (fine del secondo secolo) consigliano la trapanazione per fratture lineari della teca cranica e per traumi cranici chiusi ma, attualmente, non esistono prove decisive che gli autori medici greco-romani capissero il ruolo della craniotomia nel sollievo di “malattie della testa” endogene, considerate da Plinio il Vecchio come la terza causa di malattie dolorose dell’umanità[14].
La sola letteratura medica greca che, tra V e IV secolo a.C., dia notizie sulla trapanazione cranica è costituita da alcuni trattati appartenenti al Corpus Hippocraticum[15]. La trapanazione veniva praticata con una certa frequenza e tranquillità anche se, per per evitare di ledere la meninge, molto spesso si rinunciava ad andare troppo a fondo e si lasciava che l’osso si distaccasse completamente e si sollevasse per effetto della suppurazione. La trapanazione veniva eseguita per curare esiti di fratture e traumi cranici, come testimoniano il trattato Sulle ferite nella testa (V secolo a.C.)[16], alcuni casi clinici registrati in Epidemie V, capp. 16, 27 (380 a.C. circa) ed Epidemie IV, cap. 11 (datazione controversa, fine V – inizio IV secolo a.C.)[17], ed il trattato De locis in homine, cap. 32 (datazione controversa, fine V – metà IV secolo a.C.)[18] ed anche come terapia di malattie interne non chirurgiche, come in Malattie II (V secolo a.C.), cap. 15 (idropisia della testa)[19]; Sulla vista (IV secolo a.C.) cap 8[20].
Gli strumenti usati non sono mai descritti nei dettagli; si parla però regolarmente di un prion (trapano a corona) e, per l’azione, si usa il verbo priein; in Fratture nella testa si usa anche un trypanon (trapano a punta) e, per l’azione corrispondente il verbo è trypan; non c’è invece menzione di altri ferri chirurgici.
Testimoni più tardi come Celso[21] ed Eliodoro[22] – rispettivamente all’inizio e alla fine del I secolo d.C. – offrono descrizioni molto dettagliate di vari tipi di intervento; si usano procedimenti diversi a seconda del tipo di lesione (per esempio se la lesione interessa una zona in cui vi sono suture si deve operare in modo diverso), e soprattutto si dispone di diversi tipi di trapani e di diversi scalpelli; una sitazione analoga, ed anzi ancora più ricca, testimonia poi Galeno (II secolo)[23].
Le modalità di intervento stabilite da Celso e da Eliodoro prevedono, nel caso che si debba asportare l’osso e non ci si limiti ad un semplice toeletta tramite raschiamento, un intervento in due tempi: prima si delimita con una serie di fori ravvicinati le zona da asportare, individuando bene il confine tra l’osso sano e quello malato (i fori devono delimitare una forma circolare; in prossimità di una sutura, per proteggerla, si deve praticare prima pastillas con reseta una fila diritta di fori tra sutura e lesione, poi una semicircolare), quindi, con uno scalpello (ekkopeus smiliotos) si tagliano i setti tra i fori; dopo aver asportato l’osso si deve levigarne il perimetro, eliminando eventuali sporgenze che potrebbero ferire la meninge (durante questa operazione si protegge la meninge ormai messa a nudo con un meningophylax).
Questi chirurghi usano trapani a punta e a corona (la choinikis, in latino modiolus) ed hanno inventato trapani più sicuri (come l’abaptiston).
Galeno descrive come recentemente introdotto un tipo di intervento che non prevedeva l’uso del trapano; esso poteva venir sostituito da una serie di kykliskoi (scalpelli con l’estremità incavata) di varia dimensione, per mezzo dei quali si preparava la sede per inserire lo scalpello lenticolare (phakotos); questo scalpello veniva introdotto sotto l’osso da tagliare (la parte convessa e liscia a contatto con la meninge, quella superiore e tagliente a contatto con l’osso), poi colpendo l’impugnatura del phakotos con un martelletto, si effettuava la sezione dell’osso.
La letteratura più recente testimonia in sostanza una maggior prudenza nei confronti della trapanazione.
Nel caso di Pontecagnano sembra che l’intervento non segua esattamente nei dettagli nessuna delle tecniche descritte in letteratura. Infatti la zona da asportare è delimitata da colpi di scalpello, ma non vi sono tracce dell’uso di un trapano. L’intervento senza trapano, come abbiamo visto, è presentato da Galeno come innovazione dei suoi tempi, e comunque questo intervento richiedeva strumenti che non sembra siano stati impiegati in questo caso.
Certamente invece si è proceduto a levigare i bordi della breccia, come si prevede e raccomanda negli interventi descritti dalle fonti più tarde.
Per quanto riguarda il bambino di Fidene, il trattato di Galeno De methodo medendi, scritto nella seconda metà del II secolo, stabilisce specificamente  che la semplice sezione delle ossa del cranio è più sicura della trapanazione quando si interviene su crani con pareti molto sottili, come quelli dei bambini[24].
In conclusione, i casi presentati si distinguono per il particolare ardimento chirurgico e per l’elevatissimo livello tecnico di esecuzione, che li avvicina alle tecniche descritte da Eliodoro e da Galeno (I-II secolo d.C.).
Il loro studio ci ha permesso di ottenere, per la prima volta, informazioni dirette sugli “effetti” di tecniche chirurgiche note finora solo attraverso i testi medici greci[25].


[1] PARDINI E., ROSSI V., STEFANIA G., FULGARO A., PATARA S., Gli inumati di Pontecagnano. Archivio per l’Antropologia e la Etnologia 1982; 112:281-329.
[2] FORNACIARI G., MEZZETTI M.G., ROSELLI A., Trapanazione cranica del IV secolo a.C. da Pontecagnano (Salerno). Studi Etruschi 1989-90; 56:285-286. GERMANA’ F., FORNACIARI G., op. cit., pp. 130-133. FORNACIARI G., NACCARATO G., op. cit., pp. 73-75.
[3] Desidero ringraziare il prof. Davide Caramella, della Divisione di Radiologia Diagnostica ed Interventistica dell’Università di Pisa, per gli esami radiologici e TAC.
[4] MARIANI-COSTANTINI R., CATALANO P., DI GENNARO F., DI TOTA G., ANGELETTI L.R., New light on cranial surgery in ancient Rome. The Lancet 2000; 355:305-307.
[5] GERMANA’ F., FORNACIARI G., op. cit., pp. 16-17.
[6] JACKSON R., Roman doctors and their instruments: recent research into ancient practice. Journal of Roman Archaeology 1990; 3:5-27.
[7] MARIANI-COSTANTINI R., CATALANO P., DI GENNARO F., DI TOTA G., ANGELETTI L.R., op. cit., p. 306.
[8] GRAHAM D.I., LANTOS P.L., Greenfield’s Neuropathology. Arnold, London, 1997; McLENDON R.E., TIEN R.D., Russel and Rubinstein’s pathology of tumors of the nervous system. Arnold, London, 1998.
[9] MARIANI-COSTANTINI R., CATALANO P., DI GENNARO F., DI TOTA G., ANGELETTI L.R., op. cit., p. 307.
[10] CLAUDII GALENII, Opera Omnia, X,VI:VI. Hildesheim, Olms, 1965.
[11] CAMPILLO D., Healing of the skull bone after injury. Journal of Paleopathology 1993; 3:137-149.
[12] KRUG A., Medicina nel mondo classico. Giunti, Firenze, 1990.
[13] Desidero ringraziare la prof.ssa Amneris Roselli per le preziose informazioni sui testi e sugli Autori antichi.
[14] PLINE L’ANCIEN, Histoire naturelle, XXV:VII. Les Belles Lettres, Paris, 1974.
[15] VEGETTI M., Ippocrate, Opere. UTET, Torino, 1965.
[16] KUEHLEWEIN H., De capitis vulneribus, in Hippocratis Opera. Teubner, Lipsia, 1902; VEGETTI
[17] LITTRE’ E., Epidemies, in Oeuvres complètes d’Hippocrate, V. Paris, 1846 (rist. Amsterdam, 1962).
[18] JOLY R., Des lieux dans l’homme, De la vision, in Hippocrate, XII. Les Belles Lettres, Paris, 1978.
[19] JOUANNA J., Maladies II, in Hippocrate, X. Les Belles Lettres, Paris, 1983.
[20] JOLY R., op. cit.
[21] SPENCER W.G., Celsus, De Medicina (with an English translation). Loeb Classical Library, London-Cambridge, 1961.
[22] RAEDER I., Oribasius, Collectiones Mediacarum reliquiae. Corpus Medicorum Graecorum VI 2.1, Lipsiae et Berolini, 1931.
[23] KUEHN C.G., De methodo medendi, in Galeni Opera omnia, X. Lipsiae, 1825 (rist. Hildesheim, 1965). RAEDER I., op. cit.
[24] KUEHN C.G., op. cit., VI.
[25] Desidero ringraziare la dr.ssa Paola Catalano, ispettore della Soprintendenza Archeologica per il Lazio, e il prof. Renato Mariani-Costantini, dell’Università di Chieti, per avermi messo a disposizione la importante iconografia del cranio trapanato di Fidene.