The Palaeopathology of Tuberculosis
Conferenza della Prof. Charlotte Roberts, tenuta nell’Aula Magna Storica il 9 settembre 2009


La tubercolosi ha costituito per secoli un vero e proprio stereotipo di malattia fatale. Questa malattia, causata dal batterio Mycobacterium tuberculosis, scoperto da Koch nel 1882, è una malattia tuttora diffusa in tutto il mondo.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso la tubercolosi ha cessato di rappresentare un problema di salute pubblica. In questi ultimi anni si è verificato nel mondo occidentale un nuovo aumento di casi in pazienti immunodepressi o in immigrati da paesi del Terzo Mondo, dove la malattia è purtroppo ancora endemica.
Si ipotizza che in origine la tubercolosi fosse una malattia bovina e che la trasmissione da animale ad animale avvenisse principalmente per via aerea attraverso l’inalazione di goccioline emesse dai capi infetti.
E’ dunque verosimile pensare che sia stata trasmessa, almeno inizialmente, all’uomo tramite un vettore animale, in particolare attraverso l’ingestione di carne infetta, cruda o poco cotta.
Non ci sono comunque reperti paleopatologici di tubercolosi attribuibili ai piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori pleistocenici.
Il momento più probabile in cui possa essere avvenuto questo passaggio è individuabile nel Neolitico del Vicino Oriente, nella cosiddetta “mezzaluna fertile” (Valle del Nilo, Siria, Valle fra il Tigri e l’Eufrate.
E’ infatti in questo periodo e in questa regione che, con l’adozione della pratica dell’allevamento, si realizzano una serie di condizioni favorevoli alla trasmissione della malattia dall’animale all’uomo.
Il bestiame diventa infatti una fonte regolare di approvvigionamento di carne e di latte e si verifica un contatto più ravvicinato e prolungato con gli animali; inoltre, i gruppi umani diventano più sedentari e numerosi, favorendo la diffusione endemica della malattia.
Lesioni tipiche di una spondilite tubercolare sono state rinvenute in uno scheletro appartenente ad un individuo di sesso maschile, di circa 15 anni, proveniente dalla grotta delle Arene Candide (Liguria) e datato al 4000-3500 a.C. La colonna è affetta da una marcata cifosi toraco-lombare, con formazione di un gibbo angolare di 90° per distruzione dei corpi dell’undicesima e dodicesima vertebra toracica
Materiali scheletrici egiziani, comprendenti più di una trentina di casi, hanno fornito numerose prove sulla presenza della tubercolosi in Egitto a partire dalle epoche più antiche. In particolare, la manifestazione vertebrale, o morbo di Pott, è stata individuata in alcuni scheletri risalenti al Predinastico, e in altri scheletri distribuiti lungo tutto l’arco della storia egizia, come l’Antico Regno, il Nuovo Regno e il Periodo Cristiano.
In studi più recenti, sempre in materiali egizi, è stata verificata anche la possibilità di una diagnosi molecolare della tubercolosi, tramite il DNA antico.
In Epoca alto-medievale la tipologia di insediamenti e l’organizzazione sociale, basata su piccoli insediamenti rurali con possibilità limitate di ampi contatti sociali, creano condizioni sfavorevoli alla diffusione endemica della malattia, la quale era in ogni caso già presente, come attestano ad esempio alcuni casi documentati in Inghilterra a partire dal IV secolo d.C.
Con l’avvento del Basso Medioevo, e ancor più con l’Epoca Rinascimentale, si assiste ad un progressivo aumento dell’incidenza della tubercolosi in Europa.
Indicazioni interessanti sull’andamento della malattia sono fornite da un curioso rituale, le cui origini si rintracciano intorno all’XI secolo in Francia e in Inghilterra e che perdura nei secoli successivi, chiamato “toccatura” della scrofola. La pretesa investitura divina del potere reale rendeva possibile una manifestazione pubblica di essa, nel corso di una cerimonia durante la quale il sovrano dimostrava i suoi i presunti poteri taumaturgici. Secondo questo rituale il re doveva toccare il malato, in particolare le lesioni nodulari ed ulcerate riconducibili ad un’infezione linfo-ghiandolare del collo di origine tubercolare, denominata “scrofola”, facendo il segno della croce e donando al suddito sofferente una moneta d’oro.
Le registrazioni relative a queste donazioni indicano che tra l’XI e il XVI secolo l’andamento della malattia si mantiene costante, con un’incidenza piuttosto bassa, mentre con l’inizio del XVII secolo si registra un’improvvisa impennata dei casi.
Le cause di questo aumento sono da ricercare principalmente nell’urbanizzazione che accompagna il periodo e nei fenomeni ad esso correlati. Secondo una stima, il tasso di mortalità per tubercolosi alla metà del 1600 a Londra era del 15%, mentre a metà del 1700 risultava raddoppiato.
A partire dalla metà del XVII secolo la tubercolosi diviene endemica in l’Europa, tanto da attirare l’attenzione dei medici dell’epoca, che si applicano allo studio della malattia, non comprendendo ancora però che le diverse manifestazioni cliniche erano il risultato di un unico processo infettivo; per questo bisogna aspettare il 1882 e la scoperta da parte di Koch del micobatterio
Agli inizi del XIX secolo la tubercolosi rappresenta la più comune causa di morte per singole malattie; in Inghilterra, ad esempio, il tasso di mortalità annuale per tubercolosi si aggira intorno ai 400-500 casi su 100.000 abitanti. Il picco massimo nell’incidenza e nella mortalità della malattia vengono raggiunti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti intorno al 1850.
Dopo questa data l’epidemia inizia un progressivo rallentamento, che continua in maniera costante nella seconda metà del XIX e per tutto il XX secolo. Le cause di questo declino, apparentemente spontaneo, della malattia, che conosce una nuova, temporanea crescita solo nei periodi successivi alle due guerre mondiali, non sembrano facilmente identificabili. Infatti la  regressione comincia quando ancora le cause della tubercolosi non erano state identificate, mentre l’introduzione di terapie farmacologiche efficaci (streptomicina e rifampicina) è posteriore al 1950. L’ipotesi più probabile è che nel declino dell’epidemia di tubercolosi siano intervenuti fattori di tipo ambientale.
L’utilizzo di abitazioni più confortevoli, le migliorate condizioni di lavoro e una più alta qualità nell’alimentazione, hanno probabilmente diminuito il rischio di esposizione all’infezione e aumentato la resistenza dell’ospite. Una perdita di virulenza del batterio non può essere esclusa.


Tutti questi interrogativi rappresentano solo alcuni di quelli che la Paleopatologia può aiutare a risolvere.