La febbre puerperale, ben descritta da Ippocrate, era una malattia ricorrente nelle cronache mediche del passato.
Vengono riferite, infatti, numerose epidemie sia urbane che ospedaliere con un elevato numero di decessi, pari in taluni casi al 100% delle puerpere colpite.
Le ipotesi sull’origine della febbre puerperale erano essenzialmente due: quella, risalente a Ippocrate, della ritenzione dei cosiddetti lochi (secrezioni post-partum) e quella della ritenzione lattea.
Solo nel 1846 le osservazioni di Semmelweis alla Clinica Ostetrica di Vienna dimostrarono una stretta relazione fra febbre puerperale e contaminazione esterna, da parte degli studenti di medicina che si esercitavano sulle puerpere.
Da allora la semplice disinfezione delle mani degli operatori portò ad una netta diminuzione del numero di decessi per febbre puerperale.
Infine, la scoperta di Pasteur (1879) sull’origine microbica della febbre puerperale ne chiarì definitivamente la natura infettiva.
In Italia solo i clinici ostetrici di Milano, più legati all’ambiente di Vienna, recepirono quasi immediatamente le nuove concezioni, fatte proprie in seguito dal Mangiagalli, e, alla fine dell’800, l’origine infettiva fu definitivamente accettata.